lunedì 30 giugno 2008
Francesco a Canale Italia
Domani, a partire dalle 6 di mattina fino alle 8 sarà ospite, a Padova, negli studi dell’emittente televisiva “Canale Italia”, il nostro collaboratore Francesco Toscano. La rubrica si chiama “Notizie Oggi” ed è condotta dal giornalista Gianluca Versace. “Canale Italia” è l’ex “Tele Serenissima” e si vede in chiaro, oppure con il digitale terrestre o come canale Sky. Per trovare la vostra frequenza visitate il sito: www.canaleitalia.it
venerdì 20 giugno 2008
DPEF: PER LE ACLI "NON C'E' CAMBIO DI PASSO AUSPICATO"
Il presidente Olivero: «Dove sono le risposte al popolo del family day?»
Famiglia e redditi grandi assenti. Bene risanamento dei conti e razionalizzazione della Pubblica amministrazione
Roma - «Non c'è il cambio di passo auspicato per il Paese, soprattutto per quanto riguarda i temi della famiglia e dei redditi». Questa la prima impressione del presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero sul Documento di programmazione economica e fiscale presentato dal Governo.
Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani non rinunciano a sottolineare gli aspetti positivi della proposta del Governo. Tra questi, «l'obiettivo del risanamento dei conti, addirittura il pareggio di bilancio». «Perché i conti a posto - afferma Olivero - sono la garanzia per poter fare finalmente le riforme strutturali di cui il paese ha bisogno». Bene anche «l'obiettivo annunciato della razionalizzazione delle spese e della trasparenza nella Pubblica amministrazione. Ma è ancora tutto da vedere - dice il presidente - se i risparmi verranno da una migliore organizzazione del lavoro o invece si finirà per tagliare servizi e welfare, già oggi in condizioni di grave affanno».
Le dolenti note, per le Acli, cominciano dalla famiglia: «Dov'è finito il quoziente familiare indicato con grande chiarezza nel programma del Popolo delle Libertà?». «Potevamo anche immaginare - dice Olivero - dei timidi passi nella Finanziaria del primo anno, ma certamente nel Dpef triennale ci saremmo attesi che questa proposta diventasse realtà. Diversamente, dobbiamo costatare con amarezza che ancora una volta si interviene sulla famiglia soltanto con palliativi o iniziative specifiche di tipo assistenziale. Dove sono le risposte al popolo del Family day?».
In tema di misure assistenziali, poi, c'è scetticismo da parte delle Acli sulla "carta prepagata" annunciata per la spesa degli anziani: «Ricorda la carta per la povertà degli Stati Uniti d'America, non certamente un fiore all'occhiello del welfare. E di certo non si promuove in questo modo la dignità degli anziani».
Ma l'altra vera «grande assente» di questo documento - secondo Andrea Olivero - è «la redistribuzione, il tema dei redditi e del potere d'acquisto dei salari». «Se da un lato apprezziamo - premette - che si agisca come fiscalità più sui patrimoni e sulle rendite che sulla produttività o sui redditi delle famiglie, dall'altro lato osserviamo che sembrano mancare completamente politiche fiscali e sociali di redistribuzione della ricchezza. E' impossibile che non si colga questa come una delle priorità del Paese» «Non fare redistribuzione - aggiunge Olivero - ma limitarsi a qualche misura di tipo assistenziale, significa rendere strutturali le condizioni di povertà, non incidere sulle cause che l'hanno prodotta. E questa non è politica lungimirante, soprattutto in un'ottica di Dpef. Speriamo che possa essere corretta».
Famiglia e redditi grandi assenti. Bene risanamento dei conti e razionalizzazione della Pubblica amministrazione
Roma - «Non c'è il cambio di passo auspicato per il Paese, soprattutto per quanto riguarda i temi della famiglia e dei redditi». Questa la prima impressione del presidente nazionale delle Acli Andrea Olivero sul Documento di programmazione economica e fiscale presentato dal Governo.
Le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani non rinunciano a sottolineare gli aspetti positivi della proposta del Governo. Tra questi, «l'obiettivo del risanamento dei conti, addirittura il pareggio di bilancio». «Perché i conti a posto - afferma Olivero - sono la garanzia per poter fare finalmente le riforme strutturali di cui il paese ha bisogno». Bene anche «l'obiettivo annunciato della razionalizzazione delle spese e della trasparenza nella Pubblica amministrazione. Ma è ancora tutto da vedere - dice il presidente - se i risparmi verranno da una migliore organizzazione del lavoro o invece si finirà per tagliare servizi e welfare, già oggi in condizioni di grave affanno».
Le dolenti note, per le Acli, cominciano dalla famiglia: «Dov'è finito il quoziente familiare indicato con grande chiarezza nel programma del Popolo delle Libertà?». «Potevamo anche immaginare - dice Olivero - dei timidi passi nella Finanziaria del primo anno, ma certamente nel Dpef triennale ci saremmo attesi che questa proposta diventasse realtà. Diversamente, dobbiamo costatare con amarezza che ancora una volta si interviene sulla famiglia soltanto con palliativi o iniziative specifiche di tipo assistenziale. Dove sono le risposte al popolo del Family day?».
In tema di misure assistenziali, poi, c'è scetticismo da parte delle Acli sulla "carta prepagata" annunciata per la spesa degli anziani: «Ricorda la carta per la povertà degli Stati Uniti d'America, non certamente un fiore all'occhiello del welfare. E di certo non si promuove in questo modo la dignità degli anziani».
Ma l'altra vera «grande assente» di questo documento - secondo Andrea Olivero - è «la redistribuzione, il tema dei redditi e del potere d'acquisto dei salari». «Se da un lato apprezziamo - premette - che si agisca come fiscalità più sui patrimoni e sulle rendite che sulla produttività o sui redditi delle famiglie, dall'altro lato osserviamo che sembrano mancare completamente politiche fiscali e sociali di redistribuzione della ricchezza. E' impossibile che non si colga questa come una delle priorità del Paese» «Non fare redistribuzione - aggiunge Olivero - ma limitarsi a qualche misura di tipo assistenziale, significa rendere strutturali le condizioni di povertà, non incidere sulle cause che l'hanno prodotta. E questa non è politica lungimirante, soprattutto in un'ottica di Dpef. Speriamo che possa essere corretta».
(Comunicato Stampa Acli)
mercoledì 18 giugno 2008
Addio a Mario Rigoni Stern il «Sergente» solitario e sensibile
Era uno scrittore grandissimo, aveva la grandezza che hanno i solitari»: così, alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern, ha commentato Ferdinando Camon, che propose la candidatura al Nobel del celebre autore appena scomparso.
I funerali sono stati celebrati ieri pomeriggio ad Asiago, nel vicentino, alla presenza di pochi familiari. Il grande letterato italiano, gravemente malato, è morto l'altro ieri sera nella città in cui era nato e nella quale era tornato a vivere subito dopo la guerra ma, per sua stessa volontà, la famiglia ha mantenuto il più stretto riserbo sulla notizia. Nato nel 1921 ad Asiago, Mario Rigoni Stern è noto al grande pubblico soprattutto come autore di "Il sergente nella neve" (premio Bancarellino 1963), libro autobiografico in cui raccontava le drammatiche vicende vissute durante la campagna di Russia, di cui fu fra i pochi sopravvissuti. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d'argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, e trasferito in Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora (1945) rimase sempre nella sua casa di Asiago, da lui stesso costruita. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni - dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago - si dedicò interamente all'attività di scrittore, ma anche ad un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare presso I Gettoni di Einaudi, il suo primo romanzo "Il sergente nella neve", che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì "Il bosco degli urogalli", cui seguirono "Ritorno sul Don" (1973) "La Storia di Tonle"(1978, premio Campiello e Bagutta), "L'anno della vittoria"(1985) e "Le stagioni di Giacomo" (1995, premio Grinzane Cavour). Giornalista a La Stampa, dove scrisse anche brevi racconti, si dedicò pure agli studi storici, tra cui il recente volume "1915/18: La guerra sugli Altipiani". Una raccolta di firme presentata dal Gruppo Amici della Montagna del Parlamento, lo aveva candidato a senatore a vita. Terzo di sette fratelli, e una sorella, trascorse l'infanzia tra i pastori e la gente di montagna dell'Altopiano di Asiago. Studiò fino alla terza avviamento al lavoro, poi restò nella bottega di famiglia. La sua particolare sensibilità lo contraddistinse anche durante la campagna di Russia. Senza nulla togliere al suo coraggio ed all'impegno militare nel quale era coinvolto, Rigoni Stern è ricordato per i suoi interventi in favore di alcuni civili in condizioni disagiate ed incapaci di sostentarsi, che sono sopravvissuti grazie a lui. Ne è un esempio Nikolaj Sanvelian, che da bambino è stato salvato da Mario e che divenne poi uno dei più apprezzati scrittori russi. Con "Il sergente nella neve" si colloca all'interno della corrente narrativa neorealista. Ha condiviso immagini, storie e ricordi con Primo Levi e Nuto Revelli. Sul finire degli anni sessanta scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura "I recuperanti", film girato da Ermanno Olmi sulle vicende delle genti di Asiago all'indomani della Grande guerra. Successivamente pubblica altri romanzi nella sua terra natale, ispirati a grande rispetto e amore per la natura, come "Uomini, boschi e api" (1980). Nel 1999 gira con Marco Paolini un film-dialogo diretto da Carlo Mazzacurati e Paolini stesso, "Ritratti: Mario Rigoni Stern". Nel film, Rigoni Stern racconta la sua esperienza di vita, la guerra, il lager e il difficile ritorno a casa, ma anche il rapporto con la montagna e la natura. A proposito del senso della vita diceva: «...il momento culminante della mia vita non è quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando sono partito da qui sul Don con 70 alpini, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita....». Per la sua sensibilità verso il mondo della natura e della montagna, l'11 maggio 1998 l'Università di Padova gli conferì la laurea honoris causa in Scienze Forestali ed Ambientali e nel 2007 l'Università di Genova gli consegnò la laurea honoris causa in Scienze Politiche. Dal 2005 era cittadino onorario di Montebelluna e nel 1998 gli è stato dedicato anche il nome dell'asteroide numero 12811 (1996 CL7) scoperto nel 1996 nell'Osservatorio astrofisico di Asiago dall'astronomo Ulisse Munari.
Dina D'Isa
Il Tempo, 18 giugno 2008
I funerali sono stati celebrati ieri pomeriggio ad Asiago, nel vicentino, alla presenza di pochi familiari. Il grande letterato italiano, gravemente malato, è morto l'altro ieri sera nella città in cui era nato e nella quale era tornato a vivere subito dopo la guerra ma, per sua stessa volontà, la famiglia ha mantenuto il più stretto riserbo sulla notizia. Nato nel 1921 ad Asiago, Mario Rigoni Stern è noto al grande pubblico soprattutto come autore di "Il sergente nella neve" (premio Bancarellino 1963), libro autobiografico in cui raccontava le drammatiche vicende vissute durante la campagna di Russia, di cui fu fra i pochi sopravvissuti. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d'argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, e trasferito in Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora (1945) rimase sempre nella sua casa di Asiago, da lui stesso costruita. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni - dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago - si dedicò interamente all'attività di scrittore, ma anche ad un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare presso I Gettoni di Einaudi, il suo primo romanzo "Il sergente nella neve", che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì "Il bosco degli urogalli", cui seguirono "Ritorno sul Don" (1973) "La Storia di Tonle"(1978, premio Campiello e Bagutta), "L'anno della vittoria"(1985) e "Le stagioni di Giacomo" (1995, premio Grinzane Cavour). Giornalista a La Stampa, dove scrisse anche brevi racconti, si dedicò pure agli studi storici, tra cui il recente volume "1915/18: La guerra sugli Altipiani". Una raccolta di firme presentata dal Gruppo Amici della Montagna del Parlamento, lo aveva candidato a senatore a vita. Terzo di sette fratelli, e una sorella, trascorse l'infanzia tra i pastori e la gente di montagna dell'Altopiano di Asiago. Studiò fino alla terza avviamento al lavoro, poi restò nella bottega di famiglia. La sua particolare sensibilità lo contraddistinse anche durante la campagna di Russia. Senza nulla togliere al suo coraggio ed all'impegno militare nel quale era coinvolto, Rigoni Stern è ricordato per i suoi interventi in favore di alcuni civili in condizioni disagiate ed incapaci di sostentarsi, che sono sopravvissuti grazie a lui. Ne è un esempio Nikolaj Sanvelian, che da bambino è stato salvato da Mario e che divenne poi uno dei più apprezzati scrittori russi. Con "Il sergente nella neve" si colloca all'interno della corrente narrativa neorealista. Ha condiviso immagini, storie e ricordi con Primo Levi e Nuto Revelli. Sul finire degli anni sessanta scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura "I recuperanti", film girato da Ermanno Olmi sulle vicende delle genti di Asiago all'indomani della Grande guerra. Successivamente pubblica altri romanzi nella sua terra natale, ispirati a grande rispetto e amore per la natura, come "Uomini, boschi e api" (1980). Nel 1999 gira con Marco Paolini un film-dialogo diretto da Carlo Mazzacurati e Paolini stesso, "Ritratti: Mario Rigoni Stern". Nel film, Rigoni Stern racconta la sua esperienza di vita, la guerra, il lager e il difficile ritorno a casa, ma anche il rapporto con la montagna e la natura. A proposito del senso della vita diceva: «...il momento culminante della mia vita non è quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando sono partito da qui sul Don con 70 alpini, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita....». Per la sua sensibilità verso il mondo della natura e della montagna, l'11 maggio 1998 l'Università di Padova gli conferì la laurea honoris causa in Scienze Forestali ed Ambientali e nel 2007 l'Università di Genova gli consegnò la laurea honoris causa in Scienze Politiche. Dal 2005 era cittadino onorario di Montebelluna e nel 1998 gli è stato dedicato anche il nome dell'asteroide numero 12811 (1996 CL7) scoperto nel 1996 nell'Osservatorio astrofisico di Asiago dall'astronomo Ulisse Munari.
Dina D'Isa
Il Tempo, 18 giugno 2008
ILSOLE24ORE.COM
Rigoni Stern, i libri e la memoria
di Goffredo Fofi
Presentando nel 1953 ai lettori Il sergente nella neve, il racconto-testimonianza di un reduce dalla sciaguratissima campagna di Russia, Elio Vittorini scrisse in uno dei suoi famosi risvolti per la collana dei Gettoni einaudiani in cui esordirono tanti grandi scrittori, che si trattava di un'opera certamente importante, ma che il suo autore Mario Rigoni Stern non sarebbe andato oltre questo libro, che insomma egli non era un vero scrittore. Fu una delle sue sviste più clamorose, perché Rigoni Stern era un vero scrittore, il suo libro non era affatto un semplice "caso" ed egli lo avrebbe dimostrato nel corso di un cinquantennio. Nel 1962 si ripresentò al pubblico con i racconti di Il bosco degli urogalli, cui fecero seguito molte opere di narrazione e di memoria, legate tra loro dalla stessa ispirazione, riconoscibilissima e unica. Nato sull'Altopiano di Asiago nel 1921, Mario Rigoni Stern non ha mai distinto veramente nella sua opera tra racconto e analisi, tra narrazione e investigazione. Ogni suo intervento è stato fedele alla stessa ispirazione, la denuncia del disastro di due guerre mondiali attraverso le vicende di molti personaggi comuni (presi dal vero) il cui destino è stato segnato da quelle rotture, in genere gente dell'Altopiano, ed è stato fedele a un ambiente naturale e non solo sociale, dedicando alla flora e alla fauna dell'Altopiano racconti, evocazioni, descrizioni e anche denunce in modo sempre più assiduo e più convinto, in una lingua sempre più essenziale e pura.Prodotto di un ambiente e di una storia, non ne è voluto mai uscire, sempre mantenendo un suo ostinato pudore, e con risultati tanto più alti quanto più esigente era la loro motivazione, la loro necessità. Ha narrato la guerra in Quota Albania, in Ritorno sul Don e in tanti racconti, e nel suo libro forse più austero e commosso dopo Il sergente, la Storia di Tönle (1978) che aveva al centro il bellissimo personaggio di un montanaro solitario al tempo della Grande Guerra. Ma ha narrato con la stessa intensità, anche se ora in modi non drammatici e anzi spesso sereni e rasserenanti, la natura - gli animali e le piante, e le opere e i giorni dell'Altopiano. I suoi libri e articoli sugli animali e sulle piante sono stati dettati da una conoscenza diretta e da un rapporto continuativo con la natura, che passava però attraverso la vita degli uomini, i modi in cui gli uomini hanno interagito con le piante e con gli animali. Con questi ultimi, anche attraverso la mediazione e l'esperienza diretta della caccia. Molte pagine del Rigoni Stern cacciatore non sfigurano affatto se confrontate a quelle di altri grandi scrittori, anzitutto i russi con Turgenev in testa, e naturalmente si trattava per lo scrittore veneto di un modo d'intendere la caccia nel quadro di una cultura (e di una necessità) che nulla hanno a che fare con quelli di oggi, che egli per primo detestava. Uomini, boschi e api, Il libro degli animali, L'Arboreto selvatico sono ricchissimi di ricordi, d'incontri, di vicende, di situazioni che hanno al loro centro un rapporto antico con la natura, avvilito o distrutto dalla modernità. Di questo Rigoni Stern ha molto sofferto, ma ha anche reagito molto, lottando contro i modi in cui l'uomo ha voluto intervenire sulla natura in nome di un progresso ottusamente distruttivo. La vita armonica dell'Altopiano, le guerre vissute dalla sua gente sull'Altopiano stesso o sui fronti delle aggressive guerre fasciste sono diventati grazie a Rigoni Stern un patrimonio dei lettori italiani ed europei, e se sono stati i piemontesi Primo Levi e Nuto Revelli gli autori che egli ha sentito più vicini, la sua cultura era vastissima, la sua curiosità inarrestabile e senza confini.Il sergente nella neve è uno dei grandi libri della nostra storia e della nostra letteratura, e grazie a un suo amico, l'attore-narratore Marco Paolini, ha avuto ancora di recente una diffusione enorme presso un pubblico sempre nuovo, e presso giovani che attraverso il racconto della guerra hanno potuto apprezzare il valore e il significato della parola «pace». Dopo la scomparsa di Meneghello, non troppo tempo fa, il Veneto, regione chiave nella storia italiana e della sua letteratura, regione oggi alla ricerca tra molti sbandamenti di una nuova e difficile identità, ha perduto un altro dei suoi massimi personaggi, anche se, per fortuna del Veneto e dell'Italia, sono ben presenti con le loro poesie e le loro battaglie civili due grandi come Andrea Zanzotto e Fernando Bandini, suoi amici.
Rigoni Stern, i libri e la memoria
di Goffredo Fofi
Presentando nel 1953 ai lettori Il sergente nella neve, il racconto-testimonianza di un reduce dalla sciaguratissima campagna di Russia, Elio Vittorini scrisse in uno dei suoi famosi risvolti per la collana dei Gettoni einaudiani in cui esordirono tanti grandi scrittori, che si trattava di un'opera certamente importante, ma che il suo autore Mario Rigoni Stern non sarebbe andato oltre questo libro, che insomma egli non era un vero scrittore. Fu una delle sue sviste più clamorose, perché Rigoni Stern era un vero scrittore, il suo libro non era affatto un semplice "caso" ed egli lo avrebbe dimostrato nel corso di un cinquantennio. Nel 1962 si ripresentò al pubblico con i racconti di Il bosco degli urogalli, cui fecero seguito molte opere di narrazione e di memoria, legate tra loro dalla stessa ispirazione, riconoscibilissima e unica. Nato sull'Altopiano di Asiago nel 1921, Mario Rigoni Stern non ha mai distinto veramente nella sua opera tra racconto e analisi, tra narrazione e investigazione. Ogni suo intervento è stato fedele alla stessa ispirazione, la denuncia del disastro di due guerre mondiali attraverso le vicende di molti personaggi comuni (presi dal vero) il cui destino è stato segnato da quelle rotture, in genere gente dell'Altopiano, ed è stato fedele a un ambiente naturale e non solo sociale, dedicando alla flora e alla fauna dell'Altopiano racconti, evocazioni, descrizioni e anche denunce in modo sempre più assiduo e più convinto, in una lingua sempre più essenziale e pura.Prodotto di un ambiente e di una storia, non ne è voluto mai uscire, sempre mantenendo un suo ostinato pudore, e con risultati tanto più alti quanto più esigente era la loro motivazione, la loro necessità. Ha narrato la guerra in Quota Albania, in Ritorno sul Don e in tanti racconti, e nel suo libro forse più austero e commosso dopo Il sergente, la Storia di Tönle (1978) che aveva al centro il bellissimo personaggio di un montanaro solitario al tempo della Grande Guerra. Ma ha narrato con la stessa intensità, anche se ora in modi non drammatici e anzi spesso sereni e rasserenanti, la natura - gli animali e le piante, e le opere e i giorni dell'Altopiano. I suoi libri e articoli sugli animali e sulle piante sono stati dettati da una conoscenza diretta e da un rapporto continuativo con la natura, che passava però attraverso la vita degli uomini, i modi in cui gli uomini hanno interagito con le piante e con gli animali. Con questi ultimi, anche attraverso la mediazione e l'esperienza diretta della caccia. Molte pagine del Rigoni Stern cacciatore non sfigurano affatto se confrontate a quelle di altri grandi scrittori, anzitutto i russi con Turgenev in testa, e naturalmente si trattava per lo scrittore veneto di un modo d'intendere la caccia nel quadro di una cultura (e di una necessità) che nulla hanno a che fare con quelli di oggi, che egli per primo detestava. Uomini, boschi e api, Il libro degli animali, L'Arboreto selvatico sono ricchissimi di ricordi, d'incontri, di vicende, di situazioni che hanno al loro centro un rapporto antico con la natura, avvilito o distrutto dalla modernità. Di questo Rigoni Stern ha molto sofferto, ma ha anche reagito molto, lottando contro i modi in cui l'uomo ha voluto intervenire sulla natura in nome di un progresso ottusamente distruttivo. La vita armonica dell'Altopiano, le guerre vissute dalla sua gente sull'Altopiano stesso o sui fronti delle aggressive guerre fasciste sono diventati grazie a Rigoni Stern un patrimonio dei lettori italiani ed europei, e se sono stati i piemontesi Primo Levi e Nuto Revelli gli autori che egli ha sentito più vicini, la sua cultura era vastissima, la sua curiosità inarrestabile e senza confini.Il sergente nella neve è uno dei grandi libri della nostra storia e della nostra letteratura, e grazie a un suo amico, l'attore-narratore Marco Paolini, ha avuto ancora di recente una diffusione enorme presso un pubblico sempre nuovo, e presso giovani che attraverso il racconto della guerra hanno potuto apprezzare il valore e il significato della parola «pace». Dopo la scomparsa di Meneghello, non troppo tempo fa, il Veneto, regione chiave nella storia italiana e della sua letteratura, regione oggi alla ricerca tra molti sbandamenti di una nuova e difficile identità, ha perduto un altro dei suoi massimi personaggi, anche se, per fortuna del Veneto e dell'Italia, sono ben presenti con le loro poesie e le loro battaglie civili due grandi come Andrea Zanzotto e Fernando Bandini, suoi amici.
Addio a Mario Rigoni Stern, icona dei valori semplici
Se n'è andato in silenzio nella sua casa di Asiago. Aveva 86 anni. Ai funerali, in forma privata, c'erano solo i familiari.
Era uno dei pochi sopravvissuti alla campagna di Russia. Un’esperienza che ha raccontato nella sua opera più nota “Il sergente della neve”. La notizia della morte è stata data con grande discrezione dai familiari. Al funerale, celebrato in forma privata , erano presenti solo la moglie Anna, i tre figli con i due nipoti e il fratello Aldo. Così come lo stesso scrittore aveva chiesto. Un minuto di silenzio alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern è stato osservato nel municipio di Montebelluna. La cittadina trevigiana ha conferito nel 2005 la cittadinanza onoraria allo scrittore. Il silenzioso raccoglimento è avvenuto nella stessa sala in cui otto anni fa Rigoni Stern aveva ricevuto il riconoscimento.
Se n'è andato in silenzio nella sua casa di Asiago. Aveva 86 anni. Ai funerali, in forma privata, c'erano solo i familiari.
Era uno dei pochi sopravvissuti alla campagna di Russia. Un’esperienza che ha raccontato nella sua opera più nota “Il sergente della neve”. La notizia della morte è stata data con grande discrezione dai familiari. Al funerale, celebrato in forma privata , erano presenti solo la moglie Anna, i tre figli con i due nipoti e il fratello Aldo. Così come lo stesso scrittore aveva chiesto. Un minuto di silenzio alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern è stato osservato nel municipio di Montebelluna. La cittadina trevigiana ha conferito nel 2005 la cittadinanza onoraria allo scrittore. Il silenzioso raccoglimento è avvenuto nella stessa sala in cui otto anni fa Rigoni Stern aveva ricevuto il riconoscimento.
LA CAMPAGNA DI RUSSIA E' stata l'esperienza che segnò la vita di Mario Rigoni Stern. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d'argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, e trasferito nella Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora rimase sempre nella sua Asiago. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni - dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago - si dedicò interamente all'attività di scrittore, ma anche a un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare il suo primo romanzo "Il sergente nella neve", che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì "Il bosco degli urogalli", cui seguirono "L'anno della vittoria" e "Le stagioni di Giacomo”.
IL CORDOGLIO "Sono costernato". È addolorata la voce di Andrea Zanzotto nel testimoniare il suo dolore per la morte di Mario Rigoni Stern. "Di lui ho un ricordo unico - sottolinea - nel senso che nascono molto raramente persone piene di virtù come lui". Zanzotto ricorda che "si dedicò alla letteratura come all'impegno civile, antesignano della conservazione dell'ambiente”.“Con Mario Rigoni Stern se ne va uno dei grandi vecchi della letteratura italiana, ma soprattutto se ne va un uomo straordinario che avevamo imparato a conoscere nelle sue pagine realistiche e incantate". È il ricordo di Walter Veltroni, segretario del Pd.Per il presidente del Veneto, Giancarlo Galan, Mario Rigoni Stern "resterà in eterno una guida morale e culturale per le future generazioni".Il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, ha colto con dolore la notizia della scomparsa di Mario Rigoni Stern, "grande uomo di cultura e grande poeta della montagna".
L’Unione Sarda, 18 giugno 2008
L’Unione Sarda, 18 giugno 2008
E' morto lo scrittore Mario Rigoni Stern, il saluto dei politici
MILANO (Reuters, martedì 17 giugno 2008) - Lo scrittore Mario Rigoni Stern era molto amato da ogni parte politica. Lo testimoniano i commenti diffusi in seguito alla notizia della sua morte.
"Se ne va con Mario Rigoni Stern uno dei grandi vecchi della letteratura italiana", afferma in una nota il segretario del partito democratico Walter Veltroni, che lo definisce "un uomo straordinario che avevamo imparato a conoscere nelle sue pagine realistiche e incantate".
"Divenuto famoso per i suoi racconti sulle tragedie della guerra amava raccontare che la cosa più importante che aveva fatto non era stato scrivere, ma portare vivi al di là delle linee di guerra in Russia i settanta alpini la cui sorte gli era stata affidata", ricorda Veltroni, che aggiunge: "Ecco, in questa confessione c'era la sua umana grandezza, il segno del suo impegno civile mai interrotto e insieme il segreto della sua scrittura nitida e affascinante". Come si apprende da un altro comunicato, il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini ha inviato un telegramma alla famiglia di Rigoni Stern, nel quale esprime il cordoglio per la "scomparsa dello scrittore che ha raccontato con realismo, verità e grande umanità la drammatica pagina della ritirata dei nostri soldati in Russia durante la seconda guerra mondiale". "Quella di Rigoni Stern - si legge ancora nel telegramma - è una generazione di narratori che ha lasciato opere di grande forza letteraria e di intensa passione civile vivendo in presa diretta le tragedie del nostro popolo". "Lo scrittore scomparso - conclude Fini - è stato uno dei testimoni della storia nazionale del `900 e dei valori di solidarietà di cui la gente italiana ha sempre dato prova anche nei momenti più difficili della sua vicenda passata".
"Se ne va con Mario Rigoni Stern uno dei grandi vecchi della letteratura italiana", afferma in una nota il segretario del partito democratico Walter Veltroni, che lo definisce "un uomo straordinario che avevamo imparato a conoscere nelle sue pagine realistiche e incantate".
"Divenuto famoso per i suoi racconti sulle tragedie della guerra amava raccontare che la cosa più importante che aveva fatto non era stato scrivere, ma portare vivi al di là delle linee di guerra in Russia i settanta alpini la cui sorte gli era stata affidata", ricorda Veltroni, che aggiunge: "Ecco, in questa confessione c'era la sua umana grandezza, il segno del suo impegno civile mai interrotto e insieme il segreto della sua scrittura nitida e affascinante". Come si apprende da un altro comunicato, il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini ha inviato un telegramma alla famiglia di Rigoni Stern, nel quale esprime il cordoglio per la "scomparsa dello scrittore che ha raccontato con realismo, verità e grande umanità la drammatica pagina della ritirata dei nostri soldati in Russia durante la seconda guerra mondiale". "Quella di Rigoni Stern - si legge ancora nel telegramma - è una generazione di narratori che ha lasciato opere di grande forza letteraria e di intensa passione civile vivendo in presa diretta le tragedie del nostro popolo". "Lo scrittore scomparso - conclude Fini - è stato uno dei testimoni della storia nazionale del `900 e dei valori di solidarietà di cui la gente italiana ha sempre dato prova anche nei momenti più difficili della sua vicenda passata".
Cultura in lacrime per l'addio a Rigoni Stern
Lo scrittore Mario Rigoni Stern è morto lunedì sera ad Asiago. Malato da tempo, aveva 86 anni. La notizia della sua morte è stata tenuta riservata dalla famiglia, per espressa volontà dello scrittore. I funerali sono stati celebrati ieri pomeriggio, in forma strettamente privata, nella chiesetta del cimitero di Asiago.
«Mi piaceva scivolare a tutta velocità sulla neve, con quegli sci lunghi di legno che si usavano allora. La neve è stata la gioia, ma anche il dolore del gelo e della morte».
Era il novembre del 2006 quando Mario Rigoni Stern, ancora forte nella stretta di mano e saldo nel portamento, festeggiando il suo ottantacinquesimo compleanno in casa Editrice Einaudi a Torino, ci raccontava del suo «corso sciatori» in Alta Val Formazza nel gennaio del 1939 (immortalato ne L’ultima partita a carte). «Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra». Non aveva ancora diciotto anni l’alpino Mario Rigoni Stern che, in quei giorni felici e immemori, aveva deciso di non rinnovare la tessera di giovane fascista e che voleva specializzarsi nel corpo degli alpini come «sciatore-rocciatore».
Rigoni Stern, che era di Asiago sulle Prealpi vicentine, si era arruolato volontario alla Scuola Militare Alpina di Aosta già l’anno prima. Giovanissimo, come si conviene all’età, aveva cominciato con l’azione. La contemplazione, la parola, il dolore dovevano ancora arrivare. Non avrebbero tardato molto, a dire il vero, in quegli anni tragici e difficili. E a venticinque anni aveva già subìto le sferzate più violente della storia. Dapprima combatte con la divisione Tridentina, poi, dopo svariate traversie, finisce in Russia. Qui vive le vicende narrate nel suo romanzo più noto e decisivo: Il Sergente nella neve.
Pubblicato nel 1953, il libro è la testimonianza diretta di una tragedia nazionale che molti non poterono raccontare, e cioè il resoconto di un sottufficiale alpino che si trova a vivere, nel 1943, l’apocalisse dell’attacco sovietico fra il Don e il Donetz, al centro del lungo fronte che divideva l’Unione Sovietica dall’alleanza tedesco-rumena-ungherese-italiana. Insomma al centro della storia. Elio Vittorini, sul risvolto di copertina della prima edizione, scrisse: «Mario Rigoni Stern non è scrittore di vocazione», ma fu smentito, più che dai critici che dissentirono, dai lettori che crebbero a migliaia e dalle opere che seguirono. Un’espressione come: «Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» sarebbe entrata nell'immaginario e nel linguaggio degli italiani (specie in certe aree del nord est) ben al di là della consapevolezza della sua fonte.
Da buon montanaro temprato dalla guerra ma anche dai ritmi radi delle stagioni naturali, Rigoni Stern rivelò poi un’altra dote, quella della contemplazione silenziosa e della pazienza da entomologo che gli fecero scrivere libri come Le storie naturali o Le storie dall’Altipiano.
Già, il suo Altipiano, che come annota Eraldo Affinati nel Meridiano Mondadori a lui dedicato, «era il luogo dove andava a leccarsi le ferite adolescenziali, come faceva il giovane “Nick” di Ernest Hemingway nei campi indiani al confine del Canada», sarebbe rimasto l’emblema di un senso di appartenenza alla propria terra coniugato con l’idea di cosmo più che di cosmopolitismo: con la natura al di sopra di tutto. La natura di Mario Rigoni Stern, però, non è mai stata una natura arcadica e armoniosa da paesaggista, e il suo amore per la caccia, commisurato a quello infinito per gli animali, lo testimonia. «Quando scesi a Torino all'Einaudi per proporre il mio manoscritto - ci ricordò - indossavo gli scarponi da montagna, e appena entrai in casa editrice mi guardarono storto, mi fecero attendere, chissà cosa pensarono. Fu così che incontrai Italo Calvino per la prima volta. Ma io venivo dalle montagne! Come avrei potuto vestirmi?».
Rigoni Stern se ne va mentre arriva l’estate, ma è con la neve che lo ricordiamo. La neve che tornerà a coprire i suoi prati di Asiago, le lapidi del cimitero, le case, addolcendo gli spigoli e anche la morte. La neve del sergente e la neve della Formazza. «Ho tante nevi nella memoria - scrive in Le vite dell'Altipiano (Einaudi, 2008) -: nevi di slavine, nevi di alte quote, nevi di montagne albanesi, di steppe russe, di lande polacche. Ma non di queste intendo parlare; dirò di come le nevi un tempo venivano indicate dalle mie parti: nevi dai più nomi, nevi d’antan, non considerate nei bollettini delle stazioni di sport invernali».
La Brüskalan, la sneea, l’haapar, l’haarnust... C’era un suo personale senso della neve che solo le sfumature del linguaggio dialettale possono cogliere. E anche questa appartenenza a una koinè, a un certo modo di intendere il linguaggio, hanno fatto la scrittura di Rigoni Stern. Ci rimarrà impressa l’immagine, sobria e assoluta come la sua scrittura, del ragazzo che apre la bocca verso il cielo per sentire la neve sciogliersi sulla lingua.
Lorenzo Scandroglio
Il Giornale, 18 giugno 2008
«Mi piaceva scivolare a tutta velocità sulla neve, con quegli sci lunghi di legno che si usavano allora. La neve è stata la gioia, ma anche il dolore del gelo e della morte».
Era il novembre del 2006 quando Mario Rigoni Stern, ancora forte nella stretta di mano e saldo nel portamento, festeggiando il suo ottantacinquesimo compleanno in casa Editrice Einaudi a Torino, ci raccontava del suo «corso sciatori» in Alta Val Formazza nel gennaio del 1939 (immortalato ne L’ultima partita a carte). «Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra». Non aveva ancora diciotto anni l’alpino Mario Rigoni Stern che, in quei giorni felici e immemori, aveva deciso di non rinnovare la tessera di giovane fascista e che voleva specializzarsi nel corpo degli alpini come «sciatore-rocciatore».
Rigoni Stern, che era di Asiago sulle Prealpi vicentine, si era arruolato volontario alla Scuola Militare Alpina di Aosta già l’anno prima. Giovanissimo, come si conviene all’età, aveva cominciato con l’azione. La contemplazione, la parola, il dolore dovevano ancora arrivare. Non avrebbero tardato molto, a dire il vero, in quegli anni tragici e difficili. E a venticinque anni aveva già subìto le sferzate più violente della storia. Dapprima combatte con la divisione Tridentina, poi, dopo svariate traversie, finisce in Russia. Qui vive le vicende narrate nel suo romanzo più noto e decisivo: Il Sergente nella neve.
Pubblicato nel 1953, il libro è la testimonianza diretta di una tragedia nazionale che molti non poterono raccontare, e cioè il resoconto di un sottufficiale alpino che si trova a vivere, nel 1943, l’apocalisse dell’attacco sovietico fra il Don e il Donetz, al centro del lungo fronte che divideva l’Unione Sovietica dall’alleanza tedesco-rumena-ungherese-italiana. Insomma al centro della storia. Elio Vittorini, sul risvolto di copertina della prima edizione, scrisse: «Mario Rigoni Stern non è scrittore di vocazione», ma fu smentito, più che dai critici che dissentirono, dai lettori che crebbero a migliaia e dalle opere che seguirono. Un’espressione come: «Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» sarebbe entrata nell'immaginario e nel linguaggio degli italiani (specie in certe aree del nord est) ben al di là della consapevolezza della sua fonte.
Da buon montanaro temprato dalla guerra ma anche dai ritmi radi delle stagioni naturali, Rigoni Stern rivelò poi un’altra dote, quella della contemplazione silenziosa e della pazienza da entomologo che gli fecero scrivere libri come Le storie naturali o Le storie dall’Altipiano.
Già, il suo Altipiano, che come annota Eraldo Affinati nel Meridiano Mondadori a lui dedicato, «era il luogo dove andava a leccarsi le ferite adolescenziali, come faceva il giovane “Nick” di Ernest Hemingway nei campi indiani al confine del Canada», sarebbe rimasto l’emblema di un senso di appartenenza alla propria terra coniugato con l’idea di cosmo più che di cosmopolitismo: con la natura al di sopra di tutto. La natura di Mario Rigoni Stern, però, non è mai stata una natura arcadica e armoniosa da paesaggista, e il suo amore per la caccia, commisurato a quello infinito per gli animali, lo testimonia. «Quando scesi a Torino all'Einaudi per proporre il mio manoscritto - ci ricordò - indossavo gli scarponi da montagna, e appena entrai in casa editrice mi guardarono storto, mi fecero attendere, chissà cosa pensarono. Fu così che incontrai Italo Calvino per la prima volta. Ma io venivo dalle montagne! Come avrei potuto vestirmi?».
Rigoni Stern se ne va mentre arriva l’estate, ma è con la neve che lo ricordiamo. La neve che tornerà a coprire i suoi prati di Asiago, le lapidi del cimitero, le case, addolcendo gli spigoli e anche la morte. La neve del sergente e la neve della Formazza. «Ho tante nevi nella memoria - scrive in Le vite dell'Altipiano (Einaudi, 2008) -: nevi di slavine, nevi di alte quote, nevi di montagne albanesi, di steppe russe, di lande polacche. Ma non di queste intendo parlare; dirò di come le nevi un tempo venivano indicate dalle mie parti: nevi dai più nomi, nevi d’antan, non considerate nei bollettini delle stazioni di sport invernali».
La Brüskalan, la sneea, l’haapar, l’haarnust... C’era un suo personale senso della neve che solo le sfumature del linguaggio dialettale possono cogliere. E anche questa appartenenza a una koinè, a un certo modo di intendere il linguaggio, hanno fatto la scrittura di Rigoni Stern. Ci rimarrà impressa l’immagine, sobria e assoluta come la sua scrittura, del ragazzo che apre la bocca verso il cielo per sentire la neve sciogliersi sulla lingua.
Lorenzo Scandroglio
Il Giornale, 18 giugno 2008
Lui sapeva dialogare con la natura
di Rolly Marchi
di Rolly Marchi
Anche il grande e caro Mario Rigoni Stern è uscito di pista e al fatale traguardo lo attendevo ormai da un paio di mesi. La notizia l’avevo appresa a Trento, alla cerimonia del premio Itas per i libri di montagna, dove da anni lui presiedeva la giuria. Non c’era, e purtroppo la sua assenza era giustificata.Avevamo da più di mezzo secolo alcune forti comunanze: l’amore per la neve, la storia bellica, i dialetti delle nostre terre, lo stesso anno di nascita che ci impose dolori e speranze nella guerra. Lui nel gelo della Russia, io nel deserto africano. Ne parlammo più volte, soprattutto prima dell’uscita del suo Il sergente nella neve.Sapeva scrivere, ma la sua grandezza, se mi è consentito, gli veniva dal suo eccezionale dialogo con la natura nelle sue molteplici ricchezze, animali, piante, fiori, unitamente alla forza dei silenzi e delle grandi solitudini. Una mattina, camminando fra i pini di Asiago, cantavano molti uccelli e si divertì a farmene indovinare qualcuno. «Ti dò appena sei - mi disse dopo l’improvvisato esame -, ma non ti boccio, perché la tua Trento non arriva nemmeno a 200 metri sul mare».Eravamo diversi nei tanti rapporti con la vita, lui fedelissimo alla moglie e alla famiglia, io forse più dedito a libertà goliardiche, lui calibrato anche nel godere i cibi e i buoni vini, io votato a qualche eccesso in più. Comunque ambedue soddisfatti - e ce lo ripetevamo sempre nei non frequentissimi incontri - di essere usciti dalla guerra e di essere ancora attivi, nonostante le nostre ottantasette primavere.Un ultimo ricordo, secondo me simpatico e sicuramente unico, riguarda il 1978, quando ci trovammo ambedue contenti e soddisfatti finalisti del Premio Campiello, tra i riflessi dei canali e i voli dei colombi di Venezia. Avevo letto il suo libro, Storia di Tönle, singolare personaggio della sua terra alpina, che si sarebbe scontrato con il mio molto trentino Ride la luna. E parlando delle nostre rispettive pagine, gli dissi: «Quel Tönle l’hai fatto morire così bene che non puoi che vincere!». E così fu. Dopo la proclamazione, sotto le stelle, ci lasciammo con un abbraccio, lui con la medaglia d’oro del vincitore e io con quella di bronzo del terzo classificato, ma ugualmente contento del risultato.
Il Giornale, mercoledì 18 giugno 2008
Il Giornale, mercoledì 18 giugno 2008
giovedì 12 giugno 2008
Antonio. Guerriero di Dio
In occasione della Festa di Sant’Antonio vi consigliamo di acquistare o noleggiare il dvd del film di Antonello Bellucco e Sandro Cecca: “Antonio. Guerriero di Dio”, uscito nelle sale cinematografiche nel 2006, prodotto dalla “A.B. Film” ed interpretato dall’attore spagnolo Jordi Molla, con la partecipazione straordinaria di Arnoldo Foà e la colonna sonora firmata dal maestro Pino Donaggio.
Sant'Antonio è il Santo più popolare della cristianità ed ha devoti in ogni angolo della terra persino tra indù e musulmani. Inoltre è il Santo che è stato canonizzato nel più breve tempo possibile: ad 11 mesi dalla sua morte.La sceneggiatura del film ha avuto l'approvazione da parte del rettore della Basilica del Santo (visitata da circa 4.500.000 fedeli l'anno) e del direttore generale ed editoriale del "Messaggero di Sant'Antonio" (periodico venduto per abbonamento a circa 1.200.000 fedeli in tutto il mondo - http://www.santantonio.org/) per la fedeltà alle fonti storiche con una particolare attenzione nell'evidenziare il pensiero e la spiritualità del Santo
Sant'Antonio è il Santo più popolare della cristianità ed ha devoti in ogni angolo della terra persino tra indù e musulmani. Inoltre è il Santo che è stato canonizzato nel più breve tempo possibile: ad 11 mesi dalla sua morte.La sceneggiatura del film ha avuto l'approvazione da parte del rettore della Basilica del Santo (visitata da circa 4.500.000 fedeli l'anno) e del direttore generale ed editoriale del "Messaggero di Sant'Antonio" (periodico venduto per abbonamento a circa 1.200.000 fedeli in tutto il mondo - http://www.santantonio.org/) per la fedeltà alle fonti storiche con una particolare attenzione nell'evidenziare il pensiero e la spiritualità del Santo
Opposizioni unite per blindare la Costituzione
"Riaffermare la garanzia di rigidità della Costituzione" per "sottrarla alla disponibilità della maggioranza". Questo l'obiettivo della proposta di legge costituzionale, presentata alla Camera e contemporaneamente al Senato, da Pd, Idv e Udc. La proposta prevede di "elevare a due terzi dei componenti delle Camere il quorum attuale previsto per l'approvazione, in seconda votazione, di leggi di modifica o di revisione della Costituzione". Nonché, "stabilire che non si faccia luogo a referendum solo se la legge di revisione costituzionale sia stata approvata, nella seconda votazione di ciascuna Camera, a maggioranza dei quattro quinti dei suoi componenti". La proposta di legge porta le firme di Giovanni Bachelet, Antonello Soro, Rosy Bindi, Gianclaudio Bressa, e tra gli altri, Leoluca Orlando, Savino Pezzotta e Bruno Tabacci. Mentre al Senato presenta la firma di Oscar Luigi Scalfaro, poresidente emerito della Repubblica. Viene ripresa proprio una sua proposta della scorsa legislatura, ed ha un precedente anche nella XII legislatura a firma di Bassanini ed Elia e che fu sottoscritta anche Da Walter Veltroni. "L'attenzione dei firmatari della proposta - di legge in una nota - è rivolta al fatto che le leggi elettorali, sia quella proporzionale con premio di maggioranza che quella maggioritaria, trasformano maggioranze relative di elettori in maggioranze assolute di deputati e senatori, in grado di modificare, come già avvenuto, parti della Costituzione". Ma, osservano i firmatari della proposta di legge, "la Costituzione non dovrebbe essere esposta alle opinioni, o peggio alle convenienze dei vincitori di turno delle competizioni elettorali e va, di conseguenza, sotratta alla disponibilità della maggioranza: ciò rappresneta il presidio più robusto delle libertà e dei diritti di tutti e di ciascuno". (AGI)
(Fonte: MessaggeroVeneto, 12 giugno 2008)
(Fonte: MessaggeroVeneto, 12 giugno 2008)
martedì 10 giugno 2008
Giovani: impazza internet
I giovani italiani sono sempre più internet-dipendenti (quattro su cinque navigano in rete almeno una volta la settimana) e "schiavi" del cellulare (lo usa il 97,2%), ma pronti anche a ritagliare spazi importanti ai libri: il 74,1% ne legge almeno uno l'anno (testi scolastici esclusi, ovviamente) e il 62,1% più di tre.
E' l'identikit tracciato dal settimo Rapporto sulla comunicazione Censis/Ucsi, promosso da H3G, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia.
Lo studio registra un aumento generalizzato nell'impiego di tutti i media, ma ad apparire "enorme" è soprattutto il balzo in avanti nell'uso del web da parte degli italiani tra i 14 e i 29 anni: tra il 2003 e il 2007, in questa fascia d'età l'utenza complessiva (uno o due contatti la settimana) è passata dal 61 all'83%, e l'uso abituale (almeno tre volte la settimana) dal 39,8% al 73,8%.
A stupire, invece, non è tanto che il telefonino sia usato praticamente da tutti i giovani (il 97,2%), quanto constatare che l'abitudine alla lettura fa nuovi proseliti: il 77,7% dei giovani legge un quotidiano (a pagamento o free press) una o due volte la settimana (erano il 59,9% nel 2003), mentre il 57,8% legge almeno tre giornali la settimana; i periodici hanno un'utenza complessiva pari al 50% dei giovani, 6 punti percentuali in più rispetto a quattro anni prima. Quanto alla flessione nell'uso della televisione tradizionale (dal 94,9 all'87,9%), appare compensata dall'incremento conosciuto in questi anni dalla tv satellitare, cresciuta dal 25,2 al 36,9%.
"Le differenze di genere - segnala la ricerca - si sono notevolmente ridotte, ma non annullate: nell'utenza complessiva dei media (una o due volte la settimana), le femmine ascoltano di più la radio (il 90,3% contro l'83,1% dei maschi) e leggono di più i periodici (il 55,2% contro il 45,3%), i maschi leggono di più i quotidiani (l'80,4% contro il 74,6% delle ragazze) e guardano di più la tv satellitare (il 39,9% contro il 33,6%)".
Più marcate le differenze legate alle diverse fasce d'età. I giovanissimi tra i 14 e i 18 anni sono i più voraci consumatori di media, con due importanti eccezioni: quotidiani e radio. Se il dato relativo all'ascolto della radio riferito a tutti i giovani è in aumento (gli utenti complessivi sono passati dall'82,8 all'86,5%), nella fascia 14-18 anni è in calo al 78,9%. "Sono le stesse funzioni e tecnologie del linguaggio radiofonico ad essere profondamente mutate - scrivono gli autori del rapporto - perché la 'colonna sonora' della giornata di un adolescente si compone ormai di podcast e download di mp3 dalla Rete, telefonini e lettori usati anche come apparecchi radio, playlist scambiate attraverso i blog".
Morale: aumenta il numero dei media ed è sempre più difficile tracciare un confine tra di essi, grazie soprattutto al ruolo di internet. Ma i giovani si trovano a loro agio in questo contesto e praticano un vero "nomadismo mediatico" che realizza, in pratica, il compimento di quella multicanalità che i teorici del web e delle tlc avevano preconizzato alla fine degli anni '90.
Esistono comunque alcune differenze fra le abitudini dei giovani italiani e quelle dei coetanei europei: ovunque si fa un grande uso del telefonino, ma negli altri paesi gli utenti abituali scendono dal 96,5% dell'Italia all'89,3% della Germania, all'83,9% della Gran Bretagna, all'83,7% della Spagna e al 73,8% della Francia. Per i giovani inglesi e tedeschi internet riveste un ruolo ancora più importante che in Italia (l'uso abituale raggiunge il 77,7% in Gran Bretagna e il 76,5% in Germania) mentre i ragazzi spagnoli e francesi non solo usano meno internet (rispettivamente il 69,5% e il 65,7%), ma leggono anche meno libri dei coetanei europei: almeno tre libri l'anno per il 43,3% degli spagnoli e il 48,1% dei francesi, contro il 60,7% dei tedeschi, il 62,1% degli italiani e il 64,5% dei britannici.
(fonte: Affari Italiani)
E' l'identikit tracciato dal settimo Rapporto sulla comunicazione Censis/Ucsi, promosso da H3G, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia.
Lo studio registra un aumento generalizzato nell'impiego di tutti i media, ma ad apparire "enorme" è soprattutto il balzo in avanti nell'uso del web da parte degli italiani tra i 14 e i 29 anni: tra il 2003 e il 2007, in questa fascia d'età l'utenza complessiva (uno o due contatti la settimana) è passata dal 61 all'83%, e l'uso abituale (almeno tre volte la settimana) dal 39,8% al 73,8%.
A stupire, invece, non è tanto che il telefonino sia usato praticamente da tutti i giovani (il 97,2%), quanto constatare che l'abitudine alla lettura fa nuovi proseliti: il 77,7% dei giovani legge un quotidiano (a pagamento o free press) una o due volte la settimana (erano il 59,9% nel 2003), mentre il 57,8% legge almeno tre giornali la settimana; i periodici hanno un'utenza complessiva pari al 50% dei giovani, 6 punti percentuali in più rispetto a quattro anni prima. Quanto alla flessione nell'uso della televisione tradizionale (dal 94,9 all'87,9%), appare compensata dall'incremento conosciuto in questi anni dalla tv satellitare, cresciuta dal 25,2 al 36,9%.
"Le differenze di genere - segnala la ricerca - si sono notevolmente ridotte, ma non annullate: nell'utenza complessiva dei media (una o due volte la settimana), le femmine ascoltano di più la radio (il 90,3% contro l'83,1% dei maschi) e leggono di più i periodici (il 55,2% contro il 45,3%), i maschi leggono di più i quotidiani (l'80,4% contro il 74,6% delle ragazze) e guardano di più la tv satellitare (il 39,9% contro il 33,6%)".
Più marcate le differenze legate alle diverse fasce d'età. I giovanissimi tra i 14 e i 18 anni sono i più voraci consumatori di media, con due importanti eccezioni: quotidiani e radio. Se il dato relativo all'ascolto della radio riferito a tutti i giovani è in aumento (gli utenti complessivi sono passati dall'82,8 all'86,5%), nella fascia 14-18 anni è in calo al 78,9%. "Sono le stesse funzioni e tecnologie del linguaggio radiofonico ad essere profondamente mutate - scrivono gli autori del rapporto - perché la 'colonna sonora' della giornata di un adolescente si compone ormai di podcast e download di mp3 dalla Rete, telefonini e lettori usati anche come apparecchi radio, playlist scambiate attraverso i blog".
Morale: aumenta il numero dei media ed è sempre più difficile tracciare un confine tra di essi, grazie soprattutto al ruolo di internet. Ma i giovani si trovano a loro agio in questo contesto e praticano un vero "nomadismo mediatico" che realizza, in pratica, il compimento di quella multicanalità che i teorici del web e delle tlc avevano preconizzato alla fine degli anni '90.
Esistono comunque alcune differenze fra le abitudini dei giovani italiani e quelle dei coetanei europei: ovunque si fa un grande uso del telefonino, ma negli altri paesi gli utenti abituali scendono dal 96,5% dell'Italia all'89,3% della Germania, all'83,9% della Gran Bretagna, all'83,7% della Spagna e al 73,8% della Francia. Per i giovani inglesi e tedeschi internet riveste un ruolo ancora più importante che in Italia (l'uso abituale raggiunge il 77,7% in Gran Bretagna e il 76,5% in Germania) mentre i ragazzi spagnoli e francesi non solo usano meno internet (rispettivamente il 69,5% e il 65,7%), ma leggono anche meno libri dei coetanei europei: almeno tre libri l'anno per il 43,3% degli spagnoli e il 48,1% dei francesi, contro il 60,7% dei tedeschi, il 62,1% degli italiani e il 64,5% dei britannici.
(fonte: Affari Italiani)
Iscriviti a:
Post (Atom)