mercoledì 18 giugno 2008

Addio a Mario Rigoni Stern il «Sergente» solitario e sensibile

Era uno scrittore grandissimo, aveva la grandezza che hanno i solitari»: così, alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern, ha commentato Ferdinando Camon, che propose la candidatura al Nobel del celebre autore appena scomparso.
I funerali sono stati celebrati ieri pomeriggio ad Asiago, nel vicentino, alla presenza di pochi familiari. Il grande letterato italiano, gravemente malato, è morto l'altro ieri sera nella città in cui era nato e nella quale era tornato a vivere subito dopo la guerra ma, per sua stessa volontà, la famiglia ha mantenuto il più stretto riserbo sulla notizia. Nato nel 1921 ad Asiago, Mario Rigoni Stern è noto al grande pubblico soprattutto come autore di "Il sergente nella neve" (premio Bancarellino 1963), libro autobiografico in cui raccontava le drammatiche vicende vissute durante la campagna di Russia, di cui fu fra i pochi sopravvissuti. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d'argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, e trasferito in Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora (1945) rimase sempre nella sua casa di Asiago, da lui stesso costruita. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni - dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago - si dedicò interamente all'attività di scrittore, ma anche ad un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare presso I Gettoni di Einaudi, il suo primo romanzo "Il sergente nella neve", che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì "Il bosco degli urogalli", cui seguirono "Ritorno sul Don" (1973) "La Storia di Tonle"(1978, premio Campiello e Bagutta), "L'anno della vittoria"(1985) e "Le stagioni di Giacomo" (1995, premio Grinzane Cavour). Giornalista a La Stampa, dove scrisse anche brevi racconti, si dedicò pure agli studi storici, tra cui il recente volume "1915/18: La guerra sugli Altipiani". Una raccolta di firme presentata dal Gruppo Amici della Montagna del Parlamento, lo aveva candidato a senatore a vita. Terzo di sette fratelli, e una sorella, trascorse l'infanzia tra i pastori e la gente di montagna dell'Altopiano di Asiago. Studiò fino alla terza avviamento al lavoro, poi restò nella bottega di famiglia. La sua particolare sensibilità lo contraddistinse anche durante la campagna di Russia. Senza nulla togliere al suo coraggio ed all'impegno militare nel quale era coinvolto, Rigoni Stern è ricordato per i suoi interventi in favore di alcuni civili in condizioni disagiate ed incapaci di sostentarsi, che sono sopravvissuti grazie a lui. Ne è un esempio Nikolaj Sanvelian, che da bambino è stato salvato da Mario e che divenne poi uno dei più apprezzati scrittori russi. Con "Il sergente nella neve" si colloca all'interno della corrente narrativa neorealista. Ha condiviso immagini, storie e ricordi con Primo Levi e Nuto Revelli. Sul finire degli anni sessanta scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura "I recuperanti", film girato da Ermanno Olmi sulle vicende delle genti di Asiago all'indomani della Grande guerra. Successivamente pubblica altri romanzi nella sua terra natale, ispirati a grande rispetto e amore per la natura, come "Uomini, boschi e api" (1980). Nel 1999 gira con Marco Paolini un film-dialogo diretto da Carlo Mazzacurati e Paolini stesso, "Ritratti: Mario Rigoni Stern". Nel film, Rigoni Stern racconta la sua esperienza di vita, la guerra, il lager e il difficile ritorno a casa, ma anche il rapporto con la montagna e la natura. A proposito del senso della vita diceva: «...il momento culminante della mia vita non è quando ho vinto premi letterari, o ho scritto libri, ma quando sono partito da qui sul Don con 70 alpini, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita....». Per la sua sensibilità verso il mondo della natura e della montagna, l'11 maggio 1998 l'Università di Padova gli conferì la laurea honoris causa in Scienze Forestali ed Ambientali e nel 2007 l'Università di Genova gli consegnò la laurea honoris causa in Scienze Politiche. Dal 2005 era cittadino onorario di Montebelluna e nel 1998 gli è stato dedicato anche il nome dell'asteroide numero 12811 (1996 CL7) scoperto nel 1996 nell'Osservatorio astrofisico di Asiago dall'astronomo Ulisse Munari.
Dina D'Isa
Il Tempo, 18 giugno 2008

ILSOLE24ORE.COM
Rigoni Stern, i libri e la memoria
di Goffredo Fofi
Presentando nel 1953 ai lettori Il sergente nella neve, il racconto-testimonianza di un reduce dalla sciaguratissima campagna di Russia, Elio Vittorini scrisse in uno dei suoi famosi risvolti per la collana dei Gettoni einaudiani in cui esordirono tanti grandi scrittori, che si trattava di un'opera certamente importante, ma che il suo autore Mario Rigoni Stern non sarebbe andato oltre questo libro, che insomma egli non era un vero scrittore. Fu una delle sue sviste più clamorose, perché Rigoni Stern era un vero scrittore, il suo libro non era affatto un semplice "caso" ed egli lo avrebbe dimostrato nel corso di un cinquantennio. Nel 1962 si ripresentò al pubblico con i racconti di Il bosco degli urogalli, cui fecero seguito molte opere di narrazione e di memoria, legate tra loro dalla stessa ispirazione, riconoscibilissima e unica. Nato sull'Altopiano di Asiago nel 1921, Mario Rigoni Stern non ha mai distinto veramente nella sua opera tra racconto e analisi, tra narrazione e investigazione. Ogni suo intervento è stato fedele alla stessa ispirazione, la denuncia del disastro di due guerre mondiali attraverso le vicende di molti personaggi comuni (presi dal vero) il cui destino è stato segnato da quelle rotture, in genere gente dell'Altopiano, ed è stato fedele a un ambiente naturale e non solo sociale, dedicando alla flora e alla fauna dell'Altopiano racconti, evocazioni, descrizioni e anche denunce in modo sempre più assiduo e più convinto, in una lingua sempre più essenziale e pura.Prodotto di un ambiente e di una storia, non ne è voluto mai uscire, sempre mantenendo un suo ostinato pudore, e con risultati tanto più alti quanto più esigente era la loro motivazione, la loro necessità. Ha narrato la guerra in Quota Albania, in Ritorno sul Don e in tanti racconti, e nel suo libro forse più austero e commosso dopo Il sergente, la Storia di Tönle (1978) che aveva al centro il bellissimo personaggio di un montanaro solitario al tempo della Grande Guerra. Ma ha narrato con la stessa intensità, anche se ora in modi non drammatici e anzi spesso sereni e rasserenanti, la natura - gli animali e le piante, e le opere e i giorni dell'Altopiano. I suoi libri e articoli sugli animali e sulle piante sono stati dettati da una conoscenza diretta e da un rapporto continuativo con la natura, che passava però attraverso la vita degli uomini, i modi in cui gli uomini hanno interagito con le piante e con gli animali. Con questi ultimi, anche attraverso la mediazione e l'esperienza diretta della caccia. Molte pagine del Rigoni Stern cacciatore non sfigurano affatto se confrontate a quelle di altri grandi scrittori, anzitutto i russi con Turgenev in testa, e naturalmente si trattava per lo scrittore veneto di un modo d'intendere la caccia nel quadro di una cultura (e di una necessità) che nulla hanno a che fare con quelli di oggi, che egli per primo detestava. Uomini, boschi e api, Il libro degli animali, L'Arboreto selvatico sono ricchissimi di ricordi, d'incontri, di vicende, di situazioni che hanno al loro centro un rapporto antico con la natura, avvilito o distrutto dalla modernità. Di questo Rigoni Stern ha molto sofferto, ma ha anche reagito molto, lottando contro i modi in cui l'uomo ha voluto intervenire sulla natura in nome di un progresso ottusamente distruttivo. La vita armonica dell'Altopiano, le guerre vissute dalla sua gente sull'Altopiano stesso o sui fronti delle aggressive guerre fasciste sono diventati grazie a Rigoni Stern un patrimonio dei lettori italiani ed europei, e se sono stati i piemontesi Primo Levi e Nuto Revelli gli autori che egli ha sentito più vicini, la sua cultura era vastissima, la sua curiosità inarrestabile e senza confini.Il sergente nella neve è uno dei grandi libri della nostra storia e della nostra letteratura, e grazie a un suo amico, l'attore-narratore Marco Paolini, ha avuto ancora di recente una diffusione enorme presso un pubblico sempre nuovo, e presso giovani che attraverso il racconto della guerra hanno potuto apprezzare il valore e il significato della parola «pace». Dopo la scomparsa di Meneghello, non troppo tempo fa, il Veneto, regione chiave nella storia italiana e della sua letteratura, regione oggi alla ricerca tra molti sbandamenti di una nuova e difficile identità, ha perduto un altro dei suoi massimi personaggi, anche se, per fortuna del Veneto e dell'Italia, sono ben presenti con le loro poesie e le loro battaglie civili due grandi come Andrea Zanzotto e Fernando Bandini, suoi amici.


Addio a Mario Rigoni Stern, icona dei valori semplici
Se n'è andato in silenzio nella sua casa di Asiago. Aveva 86 anni. Ai funerali, in forma privata, c'erano solo i familiari.
Era uno dei pochi sopravvissuti alla campagna di Russia. Un’esperienza che ha raccontato nella sua opera più nota “Il sergente della neve”. La notizia della morte è stata data con grande discrezione dai familiari. Al funerale, celebrato in forma privata , erano presenti solo la moglie Anna, i tre figli con i due nipoti e il fratello Aldo. Così come lo stesso scrittore aveva chiesto. Un minuto di silenzio alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern è stato osservato nel municipio di Montebelluna. La cittadina trevigiana ha conferito nel 2005 la cittadinanza onoraria allo scrittore. Il silenzioso raccoglimento è avvenuto nella stessa sala in cui otto anni fa Rigoni Stern aveva ricevuto il riconoscimento.
LA CAMPAGNA DI RUSSIA E' stata l'esperienza che segnò la vita di Mario Rigoni Stern. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d'argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, e trasferito nella Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora rimase sempre nella sua Asiago. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni - dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago - si dedicò interamente all'attività di scrittore, ma anche a un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare il suo primo romanzo "Il sergente nella neve", che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì "Il bosco degli urogalli", cui seguirono "L'anno della vittoria" e "Le stagioni di Giacomo”.
IL CORDOGLIO "Sono costernato". È addolorata la voce di Andrea Zanzotto nel testimoniare il suo dolore per la morte di Mario Rigoni Stern. "Di lui ho un ricordo unico - sottolinea - nel senso che nascono molto raramente persone piene di virtù come lui". Zanzotto ricorda che "si dedicò alla letteratura come all'impegno civile, antesignano della conservazione dell'ambiente”.“Con Mario Rigoni Stern se ne va uno dei grandi vecchi della letteratura italiana, ma soprattutto se ne va un uomo straordinario che avevamo imparato a conoscere nelle sue pagine realistiche e incantate". È il ricordo di Walter Veltroni, segretario del Pd.Per il presidente del Veneto, Giancarlo Galan, Mario Rigoni Stern "resterà in eterno una guida morale e culturale per le future generazioni".Il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, ha colto con dolore la notizia della scomparsa di Mario Rigoni Stern, "grande uomo di cultura e grande poeta della montagna".
L’Unione Sarda, 18 giugno 2008

E' morto lo scrittore Mario Rigoni Stern, il saluto dei politici
MILANO (Reuters, martedì 17 giugno 2008) - Lo scrittore Mario Rigoni Stern era molto amato da ogni parte politica. Lo testimoniano i commenti diffusi in seguito alla notizia della sua morte.
"Se ne va con Mario Rigoni Stern uno dei grandi vecchi della letteratura italiana", afferma in una nota il segretario del partito democratico Walter Veltroni, che lo definisce "un uomo straordinario che avevamo imparato a conoscere nelle sue pagine realistiche e incantate".
"Divenuto famoso per i suoi racconti sulle tragedie della guerra amava raccontare che la cosa più importante che aveva fatto non era stato scrivere, ma portare vivi al di là delle linee di guerra in Russia i settanta alpini la cui sorte gli era stata affidata", ricorda Veltroni, che aggiunge: "Ecco, in questa confessione c'era la sua umana grandezza, il segno del suo impegno civile mai interrotto e insieme il segreto della sua scrittura nitida e affascinante". Come si apprende da un altro comunicato, il Presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini ha inviato un telegramma alla famiglia di Rigoni Stern, nel quale esprime il cordoglio per la "scomparsa dello scrittore che ha raccontato con realismo, verità e grande umanità la drammatica pagina della ritirata dei nostri soldati in Russia durante la seconda guerra mondiale". "Quella di Rigoni Stern - si legge ancora nel telegramma - è una generazione di narratori che ha lasciato opere di grande forza letteraria e di intensa passione civile vivendo in presa diretta le tragedie del nostro popolo". "Lo scrittore scomparso - conclude Fini - è stato uno dei testimoni della storia nazionale del `900 e dei valori di solidarietà di cui la gente italiana ha sempre dato prova anche nei momenti più difficili della sua vicenda passata".

Cultura in lacrime per l'addio a Rigoni Stern
Lo scrittore Mario Rigoni Stern è morto lunedì sera ad Asiago. Malato da tempo, aveva 86 anni. La notizia della sua morte è stata tenuta riservata dalla famiglia, per espressa volontà dello scrittore. I funerali sono stati celebrati ieri pomeriggio, in forma strettamente privata, nella chiesetta del cimitero di Asiago.
«Mi piaceva scivolare a tutta velocità sulla neve, con quegli sci lunghi di legno che si usavano allora. La neve è stata la gioia, ma anche il dolore del gelo e della morte».
Era il novembre del 2006 quando Mario Rigoni Stern, ancora forte nella stretta di mano e saldo nel portamento, festeggiando il suo ottantacinquesimo compleanno in casa Editrice Einaudi a Torino, ci raccontava del suo «corso sciatori» in Alta Val Formazza nel gennaio del 1939 (immortalato ne L’ultima partita a carte). «Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra». Non aveva ancora diciotto anni l’alpino Mario Rigoni Stern che, in quei giorni felici e immemori, aveva deciso di non rinnovare la tessera di giovane fascista e che voleva specializzarsi nel corpo degli alpini come «sciatore-rocciatore».
Rigoni Stern, che era di Asiago sulle Prealpi vicentine, si era arruolato volontario alla Scuola Militare Alpina di Aosta già l’anno prima. Giovanissimo, come si conviene all’età, aveva cominciato con l’azione. La contemplazione, la parola, il dolore dovevano ancora arrivare. Non avrebbero tardato molto, a dire il vero, in quegli anni tragici e difficili. E a venticinque anni aveva già subìto le sferzate più violente della storia. Dapprima combatte con la divisione Tridentina, poi, dopo svariate traversie, finisce in Russia. Qui vive le vicende narrate nel suo romanzo più noto e decisivo: Il Sergente nella neve.
Pubblicato nel 1953, il libro è la testimonianza diretta di una tragedia nazionale che molti non poterono raccontare, e cioè il resoconto di un sottufficiale alpino che si trova a vivere, nel 1943, l’apocalisse dell’attacco sovietico fra il Don e il Donetz, al centro del lungo fronte che divideva l’Unione Sovietica dall’alleanza tedesco-rumena-ungherese-italiana. Insomma al centro della storia. Elio Vittorini, sul risvolto di copertina della prima edizione, scrisse: «Mario Rigoni Stern non è scrittore di vocazione», ma fu smentito, più che dai critici che dissentirono, dai lettori che crebbero a migliaia e dalle opere che seguirono. Un’espressione come: «Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» sarebbe entrata nell'immaginario e nel linguaggio degli italiani (specie in certe aree del nord est) ben al di là della consapevolezza della sua fonte.
Da buon montanaro temprato dalla guerra ma anche dai ritmi radi delle stagioni naturali, Rigoni Stern rivelò poi un’altra dote, quella della contemplazione silenziosa e della pazienza da entomologo che gli fecero scrivere libri come Le storie naturali o Le storie dall’Altipiano.
Già, il suo Altipiano, che come annota Eraldo Affinati nel Meridiano Mondadori a lui dedicato, «era il luogo dove andava a leccarsi le ferite adolescenziali, come faceva il giovane “Nick” di Ernest Hemingway nei campi indiani al confine del Canada», sarebbe rimasto l’emblema di un senso di appartenenza alla propria terra coniugato con l’idea di cosmo più che di cosmopolitismo: con la natura al di sopra di tutto. La natura di Mario Rigoni Stern, però, non è mai stata una natura arcadica e armoniosa da paesaggista, e il suo amore per la caccia, commisurato a quello infinito per gli animali, lo testimonia. «Quando scesi a Torino all'Einaudi per proporre il mio manoscritto - ci ricordò - indossavo gli scarponi da montagna, e appena entrai in casa editrice mi guardarono storto, mi fecero attendere, chissà cosa pensarono. Fu così che incontrai Italo Calvino per la prima volta. Ma io venivo dalle montagne! Come avrei potuto vestirmi?».
Rigoni Stern se ne va mentre arriva l’estate, ma è con la neve che lo ricordiamo. La neve che tornerà a coprire i suoi prati di Asiago, le lapidi del cimitero, le case, addolcendo gli spigoli e anche la morte. La neve del sergente e la neve della Formazza. «Ho tante nevi nella memoria - scrive in Le vite dell'Altipiano (Einaudi, 2008) -: nevi di slavine, nevi di alte quote, nevi di montagne albanesi, di steppe russe, di lande polacche. Ma non di queste intendo parlare; dirò di come le nevi un tempo venivano indicate dalle mie parti: nevi dai più nomi, nevi d’antan, non considerate nei bollettini delle stazioni di sport invernali».
La Brüskalan, la sneea, l’haapar, l’haarnust... C’era un suo personale senso della neve che solo le sfumature del linguaggio dialettale possono cogliere. E anche questa appartenenza a una koinè, a un certo modo di intendere il linguaggio, hanno fatto la scrittura di Rigoni Stern. Ci rimarrà impressa l’immagine, sobria e assoluta come la sua scrittura, del ragazzo che apre la bocca verso il cielo per sentire la neve sciogliersi sulla lingua.
Lorenzo Scandroglio
Il Giornale, 18 giugno 2008

Lui sapeva dialogare con la natura
di Rolly Marchi
Anche il grande e caro Mario Rigoni Stern è uscito di pista e al fatale traguardo lo attendevo ormai da un paio di mesi. La notizia l’avevo appresa a Trento, alla cerimonia del premio Itas per i libri di montagna, dove da anni lui presiedeva la giuria. Non c’era, e purtroppo la sua assenza era giustificata.Avevamo da più di mezzo secolo alcune forti comunanze: l’amore per la neve, la storia bellica, i dialetti delle nostre terre, lo stesso anno di nascita che ci impose dolori e speranze nella guerra. Lui nel gelo della Russia, io nel deserto africano. Ne parlammo più volte, soprattutto prima dell’uscita del suo Il sergente nella neve.Sapeva scrivere, ma la sua grandezza, se mi è consentito, gli veniva dal suo eccezionale dialogo con la natura nelle sue molteplici ricchezze, animali, piante, fiori, unitamente alla forza dei silenzi e delle grandi solitudini. Una mattina, camminando fra i pini di Asiago, cantavano molti uccelli e si divertì a farmene indovinare qualcuno. «Ti dò appena sei - mi disse dopo l’improvvisato esame -, ma non ti boccio, perché la tua Trento non arriva nemmeno a 200 metri sul mare».Eravamo diversi nei tanti rapporti con la vita, lui fedelissimo alla moglie e alla famiglia, io forse più dedito a libertà goliardiche, lui calibrato anche nel godere i cibi e i buoni vini, io votato a qualche eccesso in più. Comunque ambedue soddisfatti - e ce lo ripetevamo sempre nei non frequentissimi incontri - di essere usciti dalla guerra e di essere ancora attivi, nonostante le nostre ottantasette primavere.Un ultimo ricordo, secondo me simpatico e sicuramente unico, riguarda il 1978, quando ci trovammo ambedue contenti e soddisfatti finalisti del Premio Campiello, tra i riflessi dei canali e i voli dei colombi di Venezia. Avevo letto il suo libro, Storia di Tönle, singolare personaggio della sua terra alpina, che si sarebbe scontrato con il mio molto trentino Ride la luna. E parlando delle nostre rispettive pagine, gli dissi: «Quel Tönle l’hai fatto morire così bene che non puoi che vincere!». E così fu. Dopo la proclamazione, sotto le stelle, ci lasciammo con un abbraccio, lui con la medaglia d’oro del vincitore e io con quella di bronzo del terzo classificato, ma ugualmente contento del risultato.
Il Giornale, mercoledì 18 giugno 2008

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