lunedì 28 luglio 2008

Governo contro casalinghe e religiosi

Dal 1° gennaio 2009, salvo interventi correttivi del Senato, casalinghe, frati, suore e molti altri cittadini italiani non riceveranno più l'assegno sociale che fino ad oggi gli veniva riconosciuto dall'Inps come assistenza in caso di redditi particolarmente bassi. L'allarme è delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani che chiedono al Parlamento di ritornare sui propri passi. Al centro del contendere, il comma 10 dell'art. 20, riguardante appunto i requisiti per l'accesso all'assegno sociale. Una prestazione di tipo assistenziale riservata fino ad oggi per motivi di reddito agli ultrasessantacinquenni residenti in Italia: che siano cittadini italiani, europei o anche extracomunitari, purchè in possesso di carta di soggiorno. E così, dal 1 gennaio 2009, se la norma verrà confermata dal Senato, l'assegno sociale non spetterà più a chi non abbia lavorato, continuativamente, per dieci anni in Italia. Si pensi alle casalinghe che hanno dedicato tutto il loro tempo alla famiglia, ai religiosi (suore e frati ad esempio) impegnati nelle realtà più difficili, agli emigranti italiani che tornano nel nostro Paese dopo una vita passata a lavorare all'estero. "È la dimostrazione concreta - osservano le Acli - di come escludere qualcuno dal bene comune, in questo caso gli immigrati, porti inevitabilmente dei danni a tutti. Appunto perchè, come insegna la dottrina sociale della Chiesa, il bene comune è tale in quanto bene di tutti e di ciascuno. Nessuno escluso".

Governo e maggioranza contro i lavoratori

Precari/ Udc: governo ha vagliato norma, no a prese in giro
Nedo Poli: Va corretto tiro maldestro Pdl-esecutivo a Parlamento
Roma, 28 lug. (Apcom) - L'Udc rinnova l'invito a maggioranza e governo a ritirare la norma che vieta il reintegro giudiziario dei precari.
"Giustificare la norma anti-assunzione in nome della flessibilità afferma Nedo Poli, componente della Commissione Lavoro della Camera- equivale a prendere per i fondelli i lavoratori più deboli. E meno male che la politica del Governo, come ha sbandierato venerdì scorso il Presidente del Consiglio, è di sinistra. Invece di impegnarsi a garantire ai precari maggiore stabilità, i ministri sono più indaffarati a scaricare le colpe sui relatori del provvedimento, ben sapendo che quest'ultimo non sarebbe mai stato approvato nelle commissioni competenti senza il parere favorevole dell'Esecutivo".
"Capisco - conclude- che l'emendamento sia stato accolto nella seduta notturna e che quindi le idee della maggioranza forse non erano delle più lucide, ma con i diritti dei lavoratori non si può dormire. Ora occorre solo senso di responsabilità per correggere in Parlamento un tiro maldestro della maggioranza e del Governo che sostiene".



Clip dal film: I Vitelloni (1953)

venerdì 25 luglio 2008

Galan: "La Regione si costituirà parte civile"

(ASCA) - Venezia, 25 lug - ''Una buona notizia che, però, riapre ferite dolorosissime nella memoria dei veneti. La buona notizia è che è stato finalmente rintracciato, per merito del giornalista Paolo Tessadri, Karl Franz Tausch, che il settimanale l'Espresso presenta come il boia di Bassano del Grappa''. Così il governatore Veneto Giancarlo Galan, auspicando che la giustizia faccia il suo corso. ''Se per davvero Tausch è il boia di Bassano del Grappa, questo assassino nazista il 26 settembre 1944 fece uccidere senza pietà 31 giovani partigiani. Nessun responsabile di quella orribile strage è stato mai processato, ne' tantomeno condannato - sottolinea il governatore veneto -. Il viale, dove furono impiccati i giovani partigiani, ora si chiama Viale dei Martiri, ma sia ben chiaro che, per quanto dipende da noi, quella strage non resterà impunita. Così, non appena le indagini avviate dalla Procura militare di Padova o di Verona, giungeranno a definire i capi di imputazione e il relativo rinvio a giudizio, al fine di accertare in via definitiva le responsabilità di un crimine tanto efferato, la Regione del Veneto si costituirà parte civile''. ''Mi auguro, infine - conclude Galan - che inaccettabili cavilli giuridici o insopportabili lentezze amministrative non diventino il pretesto per impedire che la giustizia faccia il suo corso. Chiedo, pertanto, ai competenti Ministeri di compiere tutti i necessari passi affinché il signor Karl Franz Tausch sia sottoposto a quel giudizio che la coscienza civile e democratica dell'Italia repubblicana attende dal 1944''.

mercoledì 23 luglio 2008

Repubblica presidenziale a reti unificate

Una conferenza stampa insolita rispetto ai normali cliché cui siamo abituati, quella che si è svolta presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati. A convocarla "Articolo 21", per l'occasione a raccogliere l'opposizione tutta, a una maggioranza di governo che, in fatto di informazione e comunicazione, sta forse esprimendo il meglio, ovverosia il peggio di se stessa, forse ancor'più che in tema di giustizia. Il che è tutto dire.
Fa infatti un certo effetto sentir parlare di "emergenza informativa" dopo l'ennesimo nulla di fatto in merito all'elezione del presidente della Commissione di vigilanza Rai, che consuetudine democratica vuole essere indicato dall'opposizione (nell'ultimo governo Prodi fu Landolfi di An); così come non ci si attendeva certo la partecipazione di Bruno Tabacci, che invitato a prendere la parola dal presidente di Articolo 21, Beppe Giulietti, non esita a far sapere di "aver aderito volentieri all'iniziativa". Il motivo è presto spiegato: "Da qualche anno sostengo la tesi dell'apertura del mercato televisivo, privatizzando una rete Rai, in maniera da far saltare il tetto pubblicitario. Vale a dire l'unico modo per aprire veramente il mercato televisivo nel nostro paese, palesemente vittima di un duopolio ossificato".
Tabacci si sofferma poi sul caso Saccà, argomento scottante di cui Beppe Giulietti spiega bene l'incongruità di fondo: "Invece di soffermarsi sulle intercettazioni da gossip, come in molti hanno fatto, in pochi si sono invece chiesti come mai non siano stati presi provvedimenti nei confronti di un dipendente pubblico che apertamente discute delle strategie editoriali dell'azienda Rai con il proprietario delle reti Mediaset, il polo privato che tra l'altro controlla oltre il 60% del flusso pubblicitario nazionale". E ai cronisti presenti, Giulietti tiene a precisare che "per la prima volta è tutta l'opposizione che compatta si esprime riguardo un intesa istituzionale da rispettare". Il riferimento è naturalmente alla mancata elezione di Orlando, del quale Giulietti tende a precisare: "Dopo i gesti di Bossi e le parole di Gasparri, che sia proprio quest'ultimo a discutere dell'affidabilità di una personalità come quella di Leoluca Orlando, vuol dire essere veramente giunti ai confini della realtà". Una teoria, questa, precedentemente espressa dallo stesso Tabacci.
Qualche minuto prima, era stato Vincenzo Vita a rendere note le sue preoccupazioni: "Non voglio stare qui a discettare di regime o non regime; ma se mettiamo in fila alcune cose, dal lodo Alfano ai tagli a scuola e università, per finire con questo ingiustificato e democraticamente pericoloso ostruzionismo sulla commissione di vigilanza Rai, cui assistiamo come fosse una cerimonia imbarazzante, ci troviamo di fronte a uno scenario politico-istituzionale a dir poco inquietante. Senza l'istituzione della Commissione -conclude Vita-, si mina dalle fondamenta il nostro sistema democratico".
Ricostruito il quadro della situazione, le iniziative proposte sono innanzi tutto due esposti l'uno rivolto al ministero delle Attività produttive e all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sollecitate ad avviare le necessarie attività istruttorie e adottare i conseguenti provvedimenti di legge in merito al caso Saccà. L'altro rivolto alla Corte dei Conti, che come spiegato dall'avvocato Giovanni D'Amati, chiederà conto del mancato licenziamento del presidente di Rai Fiction, oltre che dei "due pesi e due misure", avallati in altri casi che hanno visto coinvolti dipendenti Rai: tra i più eclatanti il caso di Oliviero Beha, vincitore di quattro cause nei confronti dell'azienda, ancora in attesa di reintegro; tra i più recenti l'allontanamento ingiustificato di Loris Mazzetti, storico collaboratore di Enzo Biagi.
Nel frattempo la Commissione di vigilanza veniva nuovamente convocata alle ore 14, su decisione dei due presidenti di Camera e Senato, chiamati in causa proprio all'inizio della conferenza-stampa. Se le votazioni dovessero andare nuovamente a vuoto, si riproverà martedì e giovedì prossimi.
Inoltre è stata anche individuata la data (da confermare) di una manifestazione molto particolare. Il prossimo 22 ottobre infatti dovrebbe svolgersi una Perugia-Assisi del tutto atipica, trasferita di sana pianta, vista l'emergenza, sotto le finestre di Viale Mazzini. Ad organizzarla la Tavola della pace di Flavio Lotti, insieme naturalmente ad Articolo 21.
E le adesioni, c'è da scommetterci, non mancheranno davvero.
(Fonte: Aprile on-line)

lunedì 21 luglio 2008

Due Destre, due Italie

[Scelti per voi]
di ILVO DIAMANTI
Le tensioni che scuotono il centrodestra tendono ad essere svalutate. In particolare le schermaglie fra Bossi e Berlusconi, a cui ci siamo abituati da decenni. Frequenti, talora aspre, ma non producono mai veri strappi. Se si eccettua la frattura avvenuta nel lontano 1994, pochi mesi dopo la formazione del primo governo Berlusconi. Ma quella era un'altra epoca. Meglio, quindi, non equivocare. L'alleanza durerà a lungo. Tuttavia, la convivenza non sarà facile e neppure quieta, perché oggi sotto lo stesso tetto abitano due destre. Divise dalla geografia, dai valori, dagli interessi rappresentati. Che è assai più difficile del passato comporre. "Colpa" della semplificazione prodotta da Berlusconi, il quale, per rispondere al Pd e a Veltroni, ha allargato il suo "partito personale". Ha "inventato" e imposto il Pdl, associando Fi e An. Ma non l'Udc, che, anzi, è stata spinta fuori dall'alleanza. Il successo della Lega, in fondo, risponde alla nascita di una nuova destra. Che, soprattutto nel Nord, appare fin troppo "romana", nazionalista, protezionista, per non produrre una reazione popolare. Come nel 1996. Quando la Lega ottenne un consenso molto ampio anche perché sfidò Fi e An, alleati nel Polo. Figurarsi oggi che sono dentro a un unico partito.
Il centrodestra, si è, dunque, "bipartitizzato". Diviso fra due soggetti politici distanti, per alcuni importanti aspetti. Anzitutto, dal punto di vista geopolitico. La Lega ha sfondato nel Nord, in prevalenza a spese del Pdl. Il quale ha conseguito il maggior grado di crescita elettorale nel Mezzogiorno e nelle Isole. Soprattutto in Sicilia. Tra le province dove ha ottenuto i migliori risultati, solo una è del Nord. Imperia, feudo di Scajola. Nel Lombardo-Veneto, invece, è cresciuto il peso della Lega. L'Italia del Pdl è, quindi, uno stivale rovesciato, la cui principale zona di forza è divenuta la Sicilia. Tanto più dopo le performance straordinarie ottenute alle amministrative di giugno. Ne emerge un partito dallo sguardo strabico sui problemi e sulle domande degli elettori. Che hanno, in effetti, orientamenti diversi, messi in evidenza dai sondaggi.
Gli elettori della Lega appaiono, infatti, maggiormente ostili agli immigrati e all'euro; più lontani dallo Stato e più disponibili ad aumentare l'intervento privato nei servizi pubblici. Ma soprattutto: rivendicano federalismo. Come progetto, ma anche come parola magica, che evoca "indipendenza". Simmetricamente, gli elettori del Pdl dimostrano maggiore domanda di intervento dello Stato, soprattutto (ma non solo) con funzioni di "ordine pubblico" (attraverso l'impiego dell'esercito nelle zone più insicure), sono prudenti nel richiedere la privatizzazione dei servizi, hanno maggiore fiducia nei confronti delle organizzazioni di grande impresa. Il Pdl, quindi, presenta un mix di orientamenti socioculturali che ne riflette l'impianto elettorale, prevalentemente centromedionale. E ciò lo distanzia dalla Lega. Il che rende difficile, al governo, delineare una politica comune e coerente. Perché federalismo fiscale e protezione pubblica sono rivendicazioni difficili da conciliare, nonostante la capacità creativa del "tremontismo". Tanto più in questa fase contrassegnata da ristrettezze di bilancio, vincoli internazionali, stagnazione globale. In questa destra bipartitica tende a indebolirsi anche il ruolo di Silvio Berlusconi. Perché non è solo il premier: è il leader del Pdl. Il partito più forte della coalizione, dal punto vista elettorale. Ma non dal punto di visto politico. In quanto, senza la Lega, neppure il Pdl dispone della maggioranza in Parlamento. Non può vincere alle elezioni. Perché, inoltre, senza l'Udc, mancano ammortizzatori che assorbano gli strappi, dal punto di vista politico, ma anche del linguaggio e della comunicazione. Ben diversa era la situazione nel precedente governo, quando il premier Berlusconi guidava Forza Italia. Il partito principale di una coalizione frastagliata, di cui Fi era colla e, al tempo stesso, cornice. La Casa comune di persone e posizioni difficilmente compatibili. Forza Italia teneva insieme il Nord leghista e il Sud di An e dell'Udc. Il Pdl è un'altra cosa. Molto diverso dalla Lega, per orientamenti e valori. Geografia. Così Berlusconi per la Lega è anzitutto il leader del Pdl, l'Altro Partito del centrodestra. Con cui è necessario convivere. Ma da cui occorre guardarsi e smarcarsi. A questo serve la costante pressione esercitata da Bossi nei confronti del Cavaliere. Trattato come un amico sempre più inaffidabile, perché ossessionato dai magistrati (e dalle donne), stressato da una sindrome da assedio, preoccupato, in modo quasi isterico, dai "fatti propri". Un alleato necessario, da richiamare di continuo al rispetto dei patti. Perché antepone le proprie emergenze personali a quelle geo-politiche, che interessano maggiormente la Lega. Nello stesso tempo, Bossi, come nella migliore tradizione del passato, si abbandona sempre più spesso a invettive contro il Sud e i professori. Meglio: i professori del Sud. Un distillato dei "nemici della Lega". Ma, soprattutto, un modo di segnare i confini del suo territorio di caccia, contro i nemici e gli amici. Peraltro, le due destre sono inevitabilmente attraversate da tensioni, che le scuotono anche dall'interno. È, infatti, lecito chiedersi se An abbia scelto di sciogliersi definitivamente così, senza neppure segnare dei confini. Perdendo memoria e identità, senza rimpianti. Se il suo leader Gianfranco Fini abbia, a sua volta, accettato di interpretare un profilo politico talmente basso da risultare quasi invisibile. In cambio di una successione alla guida del Pdl ancora molto incerta. Può darsi, però, che i leader di An, a livello locale e centrale, cerchino, abbastanza presto, di far valere il loro "mestiere", il loro peso organizzativo. Per contare di più. Che lo stesso Fini cambi stile. Magari solo per orgoglio personale. Per non apparire il n. 3 della coalizione. Magari il n. 4, contando Tremonti. Si accenderebbe, allora, qualche tensione in più. La nascita del Pdl, però, sta generando conflitti soprattutto nel Nord. Dove i governatori della Lombardia e del Veneto, Roberto Formigoni e Giancarlo Galan, si trovano ad affrontare una duplice sfida. 1) Con la Lega, che li considera concorrenti e occupanti "abusivi" di regioni a cui vorrebbe imporre la propria bandiera e i propri uomini. 2) Con il loro stesso partito. Divenuto assai più centralista, romano e meridionale di Forza Italia. Per questo Galan vagheggia Forza Veneto. Un soggetto politico regionalista. E sostiene l'ipotesi di una Euregio Alpeadria, che appare palesemente alternativa al Nord della Lega e al baricentro centromeridionale assunto dal Pdl. Mentre Formigoni tende a marcare le distanze dalle politiche del governo, in nome degli interessi della sua regione e del "modello lombardo". Da ciò i conflitti, anche violenti, fra i due governatori e i leader della Lega, ma anche del Pdl e del governo. A livello nazionale e locale. Ne è prova la discussione accesa, esplosa di recente fra Formigoni e Tremonti sulla ripartizione dei fondi per la spesa sanitaria. Chi, nel centrosinistra, "investe" su queste divisioni e profetizza l'implosione del centrodestra, però, non deve farsi troppe illusioni. Troppo larga la maggioranza. Troppo stretta - e divisa - l'opposizione. E troppo deludenti e frustranti le esperienze dei precedenti governi di centrosinistra. Gli italiani, anche se ve ne fosse l'occasione, si troverebbero, comunque, di fronte a una alternativa strana. A un bipolarismo singolare, che oppone due destre a tre-quattro sinistre. Sarebbe un bel dilemma. (La Repubblica, 21 luglio 2008)

SYDNEY, IL PAPA SALUTA I GIOVANI

domenica 20 luglio 2008

Pdl, il grande calderone*

L'intervista Denis Verdini, coordinatore nazionale di FI: «Indietro non si torna, questo è il partito del futuro»
«Nel Pdl verranno anche Storace e Santanché»
di Paolo Zappitelli (Articolo tratto da "Il Tempo")
«Ma sì che alla fine Storace verrà con noi nel Pdl. È inevitabile, lui e la Santanché fanno parte della nostra stessa area politica. Francesco è stato Governatore del Lazio e ministro, non è mica uno che non conosce la politica».
Denis Verdini, coordinatore nazionale di Forza Italia, è l'uomo al quale Berlusconi ha dato l'incarico di condurre il partito alla «fusione» con An e con gli altri alleati della coalizione per arrivare a far nascere ufficialmente il partito del Popolo della Libertà. E lui, battuta facile e lingua tagliente che, se non bastasse l'accento, rivelano la sua origine fiorentina, lascia aperte le porte a tutti. Anche agli ex popolari che hanno trovato ospitalità a sinistra. E ovviamente anche all'Udc. «È un peccato che ora che stiamo finalmente costruendo quello che sarà il Ppe italiano Casini rimanga fuori. È una cosa che comunque la gente non capisce, gli elettori vogliono modernizzazione e semplificazione, non i particolarismi. Indietro non si può tornare non ci possono essere mille partitini». Ricucire con Casini sarà comunque difficile. Con Berlusconi non si sono lasciati proprio in modo amichevole... «Non c'è dubbio che le classi dirigenti hanno commesso un pasticcio. Ma alla fine bisognerà arrivare a un contenitore unico, non c'è alternativa». Però anche dentro Forza Italia c'è chi vorrebbe più autonomia. Il Governatore del Veneto Galan ha detto, ad esempio, di volere un Pdl del nord. «È un progetto che non ha senso. Perché non lo capirebbero gli elettori. Se Galan pensa di valorizzare il Veneto trattandolo come entità a se stante non ci siamo proprio. Sbaglia, oggi le decisioni si prendono in Europa, basta vedere cosa accade in Francia e Spagna. E poi il Veneto non è una regione a sé stante come la Catalogna, non è paragonabile». Berlusconi ha già stabilito i tempi per arrivare al Pdl, dovrà nascere entro gennaio, al massimo febbraio. Ce la farete? «Per i primi dell'anno saremo pronti. Faremo un'assemblea costituente che consacri definitivamente quello che hanno già deciso gli elettori. È la gente che ha scelto, quando abbiamo fatto i gazebo a novembre, di fare il nuovo partito. È stato un risultato straordinario, che ha fatto perdere la testa anche a Berlusconi. E da lì è nato il famoso discorso del "predellino" in piazza San Babila». Fu una vera sorpresa o voi sapevate già che avrebbe fatto quell'annuncio? «Quella domenica, man mano che arrivavano i risultati dai gazebo, saliva l'euforia. Lui ci telefonò e ci disse "vi farò una sorpresa". Sapevamo che Berlusconi aveva in testa questo nuovo partito ma non avevamo idea ancora di come volesse realizzarlo. E probabilmente non lo sapeva ancora neppure lui. Lo ha deciso quel giorno. E gli elettori gli hanno dato ragione». Più difficile forse è mettere d'accordo tutti i partiti, An e FI prima di tutto. «No, con La Russa ci vediamo costantemente, An vuole arrivare al Pdl quanto noi. In questi mesi ognuno elaborerà la sua strategia di partito per arrivare alla Costituente. Io, ad esempio, in queste settimane ho girato tutte le Regioni per spiegare agli elettori cosa faremo. Sabato concludo con la Sardegna». Però quando si è formato il governo qualche discussione c'è stata, non tutti hanno accettato le decisioni senza protestare. «È vero. Ma è un fatto fisiologico. Poi si è risolto tutto». Con la Lega invece i rapporti sono tornati un po' tesi dopo la decisione di Berlusconi di mettere come priorità il tema della giustizia e non il federalismo. «Siamo alleati con Bossi, quindi si discute insieme. E poi la riforma della giustizia fa parte del programma elettorale». Però è un tema che vi chiude qualsiasi possibilità di dibattito con il centrosinistra. «Io credo che alla fine anche la sinistra farà la riforma con noi perché non si tratta di abolire l'ordinamento giudiziario, piuttosto di rivederlo. Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi da un'altra, nessuno ce l'ha con i giudici, nessuno vuole demonizzarli, ma la revisione di questo tipo di giustizia è un problema che riguarda tutta la società, non solo Forza Italia o Berlusconi».

*Il titolo dell'articolo è nostro e non de Il Tempo

venerdì 18 luglio 2008

Buon Compleanno Nelson!



«Non c'è nessuna facile strada per la libertà.»
(Nelson Mandela)

Film consigliato:
Il colore della libertà - Goodbye Bafana
(Goodbye Bafana)
Un film di Bille August.

- Con Joseph Fiennes, Dennis Haysbert, Diane Kruger, Shiloh Henderson, Megan Smith, Faith Ndukwana, Terry Pheto.

- Genere Drammatico, colore 117 minuti.

- Produzione Belgio, Sudafrica, Germania, Francia, Italia 2007.

- Distribuzione Istituto Luce.

giovedì 10 luglio 2008

Abboniamoci tutti a Famiglia Cristiana!!!

UN CONSIGLIO A GIOVANARDI DOPO LE ASPRE CRITICHE A "FAMIGLIA" SUI ROM
Perché altri cattolici non l'avrebbero mai fatto
I politici Dc non hanno mai preso provvedimenti come quello sulle impronte dei bimbi rom perché prima di tutto erano cristiani. E poi perché erano più consapevoli dei problemi del Paese in cui vivevano.
La presa di posizione di Famiglia Cristiana contro la proposta del ministro Maroni di rilevare le impronte digitali di tutti i rom, compresi i bambini, ha suscitato molti commenti. Fra i politici, il giudizio più aspro è stato quello dell’ex democristiano ed ex Udc, oggi del Pdl, onorevole Giovanardi, che ha detto: «Dopo aver respinto con rabbia e sdegno la delirante accusa di Famiglia Cristiana di essere parte di un Governo più o meno nazista, mi chiedo che cosa abbia a che fare con la famiglia e con i cristiani questo settimanale».
Consigliamo a Giovanardi di porsi una diversa, più ragionevole e sensata domanda: «Perché in mezzo secolo nessun Governo democristiano, nessun ministro democristiano (nemmeno l’ottimo Pisanu, al Governo con Berlusconi) ha mai proposto una simile inutile scemenza?».
Governi e singoli ministri democristiani non l’hanno mai fatto innanzitutto perché, prima di essere politici, erano cristiani, consapevoli che nei loro comportamenti avrebbe dovuto contare, riguardo alla persona umana, anche allo straniero, l’insegnamento di Gesù: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Matteo 25, 40).
Poi, non lo hanno mai fatto perché erano intelligenti e consapevoli del Paese in cui vivevano e operavano. De Gasperi prese l’Italia uscita dalla guerra in rovina, insidiata da conflitti interni aperti da minoranze etniche o di altra natura, e angustiata da problemi internazionali come quello di Trieste contesa all’Italia dalla Jugoslavia comunista, sostenuta dalle rivendicazioni dei cittadini di origine slava; oltreché dai rapporti con i Paesi europei nei quali affluivano milioni di emigranti italiani, che Roma doveva difendere senza macchiarsi a sua volta di un qualsiasi gesto razzista, verso qualunque straniero.
Erano politici che avevano conosciuto il fascismo; e avevano partecipato alla scrittura della Costituzione, che avrebbe vietato la ricostituzione del Partito fascista e ovviamente non avrebbe autorizzato nessuna deriva razzista, in ricordo di quella contro gli ebrei. Per tutti questi motivi, operando con intelligenza, trovarono le soluzioni migliori ai problemi che avevano davanti, senza prendere impronte digitali a nessuno – tranne i singoli colpevoli di reati – e gestendo la sicurezza pubblica con i sistemi di una società democratica e garantista.
E dopo, l’Italia ha vissuto momenti ben più pericolosi e angoscianti di quelli di oggi, quando ci fanno paura persino i bambini rom: il terrorismo rosso e nero, le bande di sequestratori sardi e quelle dei sanguinari rapinatori di banche, la mafia, la camorra; e, politicamente parlando, la "guerra fredda". Ebbene, nemmeno in momenti molto drammatici, a nessun democristiano al potere è mai venuto in mente quello che è venuto in mente a Maroni.
Infine, Famiglia Cristiana nasce nel 1931, l’anno delle maggiori, più violente pressioni del fascismo sul mondo cattolico per giungere a egemonizzare l’educazione dei giovani. Don Alberione risponde fondando una rivista "per le madri e le figlie", che tenga saldo il fronte educativo cristiano. Nella primavera del 1943, dopo la tragedia del nostro Corpo militare in Russia, il prefetto di Cuneo proibisce la pubblicazione della rivista, perché riporta lettere dolorose di famiglie che hanno perso i figli in quella tragica avventura. Come si può immaginare che nel Dna di questo settimanale non ci sia, fin dall’origine, un naturale rifiuto di tutto quello che, magari inconsapevolmente, sa di fascismo?
Beppe Del Colle
(Editoriale tratto da Famiglia Cristiana, n°28 - Anno 2008)

domenica 6 luglio 2008

AUTO-IRONIA

Clicca sull'immagine per ingrandire.

venerdì 4 luglio 2008

CATTOLICI: A TORINO DAL NORDITALIA PER RIFONDARE UNA PRESENZA POLITICA

Riceviamo e pubblichiamo:
Sabato 5 luglio dalle ore 10,30 presso il Salone ''C. Carretto'', corso Matteotti 11, a Torino, si terrà l'incontro ''Verso l'AGORA' dei civici e popolari'', per l'Italia settentrionale, primo di tre che porteranno ad una Assemblea nazionale volta a costruire una casa comune di tutti coloro, singoli o aggregati in movimenti, liste civiche, gruppi, che si riconoscono nella tradizione politica del popolarismo. La relazione introduttiva sarà svolta dal prof. Alberto Monticone presidente nazionale di Italia Popolare, porteranno il loro contributo il dr. Franco Mangialardi, coordinatore dell'Aera Popolare Democratica e Marco Zabotti, consigliere regionale del Veneto - Rete Civica Veneta. Interverranno anche Padre Bartolomero Sorge, direttore di Aggiornamenti sociali e Gerardo Bianco, già segretario dei Popolari. ''Nell'attuale condizione del Paese, profondamente segnata dalla sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti e della politica e da gravi problemi sociali, è necessario ed urgente che le forze ideali presenti ed operose nelle realtà concrete della comunità nazionale prendano nuove iniziative al servizio del bene comune''. Osserva Alberto Monticone nel presentare l'iniziativa. ''Tra tali forze indubbiamente i movimenti di ispirazione cristiana, attivi soprattutto negli ambiti territoriali, possono dare l'avvio ad un reale mutamento dal basso e respiro al sistema democratico, uscendo dalle strettoie del tendenziale bipartitismo dominante e del metodo politico fondato su accordi di circoscritte segreterie di partiti o, peggio, di gruppi di interessi''.

mercoledì 2 luglio 2008

Veltroni-Casini a Fini: Parlamento espropriato dei diritti

ROMA - Il governo sta tentando "di espropriare di fatto il Parlamento delle sue prerogative" attraverso la presentazione della Manovra sotto forma di decreto. E' quanto scrivono, in una lettera indirizzata al presidente della Camera, Gianfranco Fini, i leader dell'Udc e del Pd, Pier Ferdinando Casini e Walter Veltroni. La lettera a Fini è firmata anche dal capogruppo del Pd, Antonello Soro e dal vicecapogruppo vicario dell'Udc, Michele Vietti. La lettera ricorda che "in questi giorni la Camera è impegnata nell'esame di un complesso di provvedimenti di grande rilievo, sia sul piano dell'ordinamento costituzionale, sia sul piano dei conti pubblici", sui quali "é fondamentale che i parlamentari possano esprimere compiutamente i loro giudizi ed esercitare responsabilmente la funzione che la Costituzione assegna loro". "Il rischio estremamente grave - sottolineano Veltroni e Casini - è che questo possa non accadere. E il motivo è nella evidente volontà del Governo di comprimere, con le procedure scelte, i tempi della discussione, fino al punto di cambiare in corsa le regole del gioco e di espropriare di fatto il Parlamento delle sue prerogative. Se si manca di rispetto al Parlamento si colpisce il primo diritto che in democrazia è dato alla minoranza: quello di veder discusse le sue ragioni. Un diritto inviolabile quanto quello del rispetto della legittimità della maggioranza". Pd e Udc chiedono pertanto a Fini "di salvaguardare in questo difficile passaggio il ruolo e la dignità del Parlamento, garantendo i tempi e le modalità necessarie ad affrontare alla Camera, come è giusto e doveroso, temi e concrete questioni che riguardano da vicino la vita di milioni di famiglie italiane". "La manovra economica del Governo di cui in queste ore si sta discutendo alla Camera - proseguono Veltroni e Casini - si configura, con i suoi ottantacinque articoli, come una vera e propria legge finanziaria, cosa peraltro riconosciuta dallo stesso Governo nel Dpef. L'opposizione da noi rappresentata ritiene che questa manovra debba essere fortemente corretta. Ritiene che non sia adeguata ad affrontare la crisi in cui versa il Paese e a rispondere alle domande ed ai bisogni degli italiani". In particolare Pd e Udc sottolineano l'aumento delle tasse dello 0,2% nel 2010, nonché i tagli alla sicurezza e alla scuola". Inoltre "mentre le spese delle famiglie aumentano, nulla viene fatto di concreto per tutelare i risparmi e il potere d'acquisto di salari e stipendi". Non lo è certo "la 'social card', finanziata per soli 200 milioni ed esclusivamente per il 2009, a fronte di maggiori entrate tributarie, con la cosiddetta 'robin tax', pari a circa 5 miliardi". "Da parte nostra, signor Presidente - proseguono Casini e Veltroni - c'é la volontà di svolgere il ruolo di opposizione che l'esito delle elezioni ci ha assegnato in un modo netto e incalzante, entrando sempre nel merito delle questioni, privilegiando il dibattito, la critica e la definizione di proposte alternative. Non saremo noi a tornare al passato, a ricadere nel clima rissoso e sterile di questi ultimi quindici anni, a guardare troppo indietro o troppo a se stessi per occuparsi delle riforme e delle scelte di innovazione necessarie al nostro Paese come l'aria che respiriamo". "Noi crediamo - si legge infine nella lettera - che esattamente di questo l'Italia abbia bisogno. Si ristabilisca dunque la giusta gerarchia delle priorità, mettendo al primo posto i problemi degli italiani, e si garantisca che su di essi si possa svolgere, nelle istituzioni e in ogni ambito politico, quel confronto aperto e approfondito che è l'unico modo per assicurare al Paese crescita ed equità sociale". (ANSA)