(Comunicato stampa Acli)
lunedì 29 settembre 2008
ITALIANI NEL MONDO: DAL 3 ALL'11 OTTOBRE I CONGRESSI DELLE ACLI IN ARGENTINA, BRASILE E URUGUAY
Parte domani la delegazione dall'Italia. Michele Consiglio, responsabile della Rete mondiale aclista: «Da emigranti a cittadini del mondo»Roma, 29 settembre - Ottobre mese di congressi per gli italiani in America Latina. In meno di 10 giorni, dal 3 all'11 ottobre, si riuniranno infatti le assemblee congressuali delle Acli in Argentina, Brasile ed Uruguay, per eleggere i nuovi rappresentanti e rilanciare l'impegno associativo.«La stagione congressuale è occasione per tutte le Acli, ovunque nel mondo, per interrogare l'efficacia della propria azione di cristiani impegnati e rilanciare la propria iniziativa e la propria vocazione all'internazionalità». E' quanto afferma Michele Consiglio, vicepresidente nazionale delle Acli e responsabile della "Rete mondiale aclista", che domani partirà appositamente dall'Italia con una delegazione che vedrà nei prossimi giorni in America Latina anche il presidente nazionale Andrea Olivero - nonché presidente della Federazione Acli Internazionali (Fai) - e il presidente dell'Enaip Maurizio Drezzadore. In partenza dall'Italia anche Francesco Martinelli per il Patronato Acli e Giacomo Morandini per l'Ipsia, la ong promossa dalle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Il primo appuntamento è a Montevideo, per il Congresso delle Acli uruguayane, venerdì 3 ottobre. Il giorno prima sarà preceduto da un seminario sulla cooperazione italo-uruguayana in campo sociale, formativo e accademico. Il secondo appuntamento congressuale è a San Paolo, in Brasile, lunedì 6 ottobre. Infine il congresso delle Acli argentine, a Buenos Aires, sabato 11 ottobre. Illustra gli obiettivi della nuova stagione per le Acli in America Latina Michele Consiglio:«Ridefinire la nostra mission in relazione alle nuove domande sociali emergenti e al cambiamento intercorso nella composizione delle comunità italiane all'estero. Qualificare la nostra presenza come soggetto educativo, di tutela e promozione dei diritti. Rafforzare le reti sociali e istituzionali per promuovere lo sviluppo locale in ogni Paese. Rigenerare il tessuto associativo a partire dai gruppi dirigenti».«Dobbiamo sviluppare un associazionismo di promozione sociale - conclude Consiglio - non più soltanto espressione di italiani e migranti, ma di cittadini del mondo, tessendo reti per globalizzare la solidarietà».
ITALIANI NEL MONDO - INTERROGAZIONE BOBBA NARDUCCI(PD/ESTERO) E PEZZOTTA (UDC) SU STANZIAMENTI PER COOPERAZIONE E LOTTA ALLA POVERTA'"
Gli onorevoli Luigi Bobba (Vicepresidente della Commissione lavoro), Franco Narducci (Vice presidente della Commissione esteri e presidente dell'UNAIE), Savino Pezzotta (membro della Commissione Attività produttive) hanno presentato un' interrogazione al Ministro dell'Economia e delle finanze e al Ministro degli Affari esteri poiché preoccupati per i tagli degli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo e gli Aiuti ai Paesi poveri di oltre la metà delle risorse allocate lo scorso anno così come previsti nella legge Finanziaria 2009. I parlamentari hanno espresso preoccupazione in quanto “una simile riduzione agli stanziamenti porterebbe la percentuale del PIL destinata alla lotta alla povertà al livello dello 0,1% quando, come noto, il nostro Paese ha formalmente assunto impegni vincolanti con la comunità internazionale per stanziare entro il 2010 lo 0,51% quale tappa intermedia per raggiungere lo 0,7% previsto per il 2015, quale realizzazione degli Obiettivi del Millennio a cui tutti i membri delle Nazioni Unite devono tendere”. Nell’interrogazione gli onorevoli Bobba, Narducci e Pezzotta chiedono ai ministri dell’Economia e degli Esteri “se ritengano, così come sottolineato dal Sottosegretario Scotti, ricollocare i fondi, recuperati dall'Italia con il rientro del debito argentino, per finanziare l'impegno preso con i Paesi in via sviluppo”;“se intendano garantire che gli stanziamenti per la cooperazione e la lotta alla povertà siano adeguati agli impegni solennemente assunti a livello internazionale dando un segnale positivo e di responsabilità sociale, in particolare a partire dal 2009, anno del G8 italiano” e “se gli stessi ministri, in un'ottica di etica e di responsabilità sociale, non intendano valutare l’interesse nazionale nel sistema mutevole di relazioni internazionali, non solo rifinanziando il fondo per la cooperazione internazionale, ma anche prevedendo una riforma della legislazione esistente”. (29/09/2008-ITL/ITNET)
Pezzotta al corso su Dottrina Sociale Chiesa
Savona. L’ex segretario della Cisl Savino Pezzotta e il gesuita padre Bartolomeo Sorge sono tra i due nomi più noti che daranno vita al primo corso diocesano sulla Dottrina sociale della chiesa, organizzato dall’Ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, che inizierà venerdì 31 ottobre. I sei incontri in programma, che si concluderanno nel mese di marzo del prossimo anno, si svolgeranno a Savona presso l’Aula magna del Seminario vescovile, in via Ponzone, a partire dalle ore 20.45. Moderatore sarà il dottor Giancarlo Torello.
Il 31 ottobre, dunque, alla presenza del vescovo Vittorio Lupi, monsignor Paolo Tarchi, direttore nazionale dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro, interverrà sul tema: “Missione della chiesa e Dottrina sociale”. Nell’incontro successivo, venerdì 28 novembre, il sociologo Luca Diotallevi proporrà una riflessione su “I valori fondamentali della vita sociale: la verità, la libertà, la giustizia”.
Tema del terzo incontro, previsto venerdì 16 gennaio 2009, a cura del dottor Maurizio Pallante, sarà “La decrescita felice”, mentre l’onorevole Savino Pezzotta venerdì 30 gennaio interverrà su “Il lavoro umano: la dignità del lavoro. Le res novae del mondo del lavoro”. Venerdì 20 febbraio il teologo e liturgista Andrea Grillo proporrà una riflessione sul tema: “La famiglia, cellula vitale della società: la famiglia protagonista della vita sociale; la società al servizio della famiglia”. Nell’incontro conclusivo, previsto venerdì 13 marzo, padre Bartolomeo Sorge parlerà di “Dottrina sociale e azione ecclesiale. Per una civiltà dell’amore”.
Utile strumento per poter conoscere ed apprezzare la Dottrina sociale della chiesa è il suo Compendio. A tale testo, spiegano gli organizzatori dell’iniziativa, “si farà continuo riferimento. Pensiamo, infatti, che sia un importante mezzo per il discernimento morale e pastorale, guida dei comportamenti, sussidio di insegnamento morale sociale. Il Compendio, quindi, si propone di promuovere un nuovo impegno per rispondere alle esigenze del nostro tempo e per valorizzare i laici nella vocazione all’evangelizzazione del sociale, nella dimensione quindi secolare”.
Il 31 ottobre, dunque, alla presenza del vescovo Vittorio Lupi, monsignor Paolo Tarchi, direttore nazionale dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro, interverrà sul tema: “Missione della chiesa e Dottrina sociale”. Nell’incontro successivo, venerdì 28 novembre, il sociologo Luca Diotallevi proporrà una riflessione su “I valori fondamentali della vita sociale: la verità, la libertà, la giustizia”.
Tema del terzo incontro, previsto venerdì 16 gennaio 2009, a cura del dottor Maurizio Pallante, sarà “La decrescita felice”, mentre l’onorevole Savino Pezzotta venerdì 30 gennaio interverrà su “Il lavoro umano: la dignità del lavoro. Le res novae del mondo del lavoro”. Venerdì 20 febbraio il teologo e liturgista Andrea Grillo proporrà una riflessione sul tema: “La famiglia, cellula vitale della società: la famiglia protagonista della vita sociale; la società al servizio della famiglia”. Nell’incontro conclusivo, previsto venerdì 13 marzo, padre Bartolomeo Sorge parlerà di “Dottrina sociale e azione ecclesiale. Per una civiltà dell’amore”.
Utile strumento per poter conoscere ed apprezzare la Dottrina sociale della chiesa è il suo Compendio. A tale testo, spiegano gli organizzatori dell’iniziativa, “si farà continuo riferimento. Pensiamo, infatti, che sia un importante mezzo per il discernimento morale e pastorale, guida dei comportamenti, sussidio di insegnamento morale sociale. Il Compendio, quindi, si propone di promuovere un nuovo impegno per rispondere alle esigenze del nostro tempo e per valorizzare i laici nella vocazione all’evangelizzazione del sociale, nella dimensione quindi secolare”.
mercoledì 24 settembre 2008
LAVORO: ACLI, COLMARE DEFICIT RAPPRESENTANZA
Giovani precari, immigrati, lavoratori a bassa qualifica: intere fasce di popolazione a rischio marginalità sociale e politica
Roma, 24 settembre 2008 - Un «nuovo progetto di rappresentanza» per quella fascia di lavoratori e di popolazione «sempre più a rischio di marginalità sociale»: giovani precari, uomini e donne a bassa qualifica professionale, immigrati. E' questo l'ambizioso programma delle Acli per i prossimi anni, come è stato presentato questa mattina, nel corso di un seminario a Roma sul lavoro e l'identità sociale, dal presidente nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani Andrea Olivero e dal nuovo responsabile del dipartimento lavoro Maurizio Drezzadore.
«Per molti ceti popolari - ha spiegato Drezzadore - prima ancora della tutela manca oggi la rappresentanza e l'accompagnamento dentro i meandri della nuova e competitiva società dei lavori. Nell'era della globalizzazione e delle grandi trasformazioni, le fasce lavoratrici meno qualificate sono quelle più esposte ai rischi di marginalità sociale. Il lavoro, perdendo progressivamente senso e peso sociale, non contribuisce più a creare le forti identità collettive che hanno segnato la storia degli ultimi due secoli».
«Per questo motivo - ha aggiunto Dreazzadore - il compito delle Acli per i prossimi anni non potrà non essere quello di rappresentare i ceti popolari e quella parte del mondo del lavoro che oggi fatica a stare al passo con i cambiamenti, e per questo è meno protetto e resta ai margini della società e della stessa democrazia». Non è un caso - sottolineano le Acli - se il tasso più alto di "antipolitica" (22%, secondo l'ultima ricerca Iref) cioè di passività, lontananza e rifiuto della politica e della partecipazione democratica, si registra proprio nei ceti popolari a basso reddito. «Senza fornire adeguate tutele e rappresentanze a questo pezzo del mondo del lavoro e a questi ceti popolari - ha concluso Dreazzadore - si rischia di creare profonde e insanabili fratture nel tessuto sociale e democratico del nostro Paese».
Roma, 24 settembre 2008 - Un «nuovo progetto di rappresentanza» per quella fascia di lavoratori e di popolazione «sempre più a rischio di marginalità sociale»: giovani precari, uomini e donne a bassa qualifica professionale, immigrati. E' questo l'ambizioso programma delle Acli per i prossimi anni, come è stato presentato questa mattina, nel corso di un seminario a Roma sul lavoro e l'identità sociale, dal presidente nazionale delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani Andrea Olivero e dal nuovo responsabile del dipartimento lavoro Maurizio Drezzadore.
«Per molti ceti popolari - ha spiegato Drezzadore - prima ancora della tutela manca oggi la rappresentanza e l'accompagnamento dentro i meandri della nuova e competitiva società dei lavori. Nell'era della globalizzazione e delle grandi trasformazioni, le fasce lavoratrici meno qualificate sono quelle più esposte ai rischi di marginalità sociale. Il lavoro, perdendo progressivamente senso e peso sociale, non contribuisce più a creare le forti identità collettive che hanno segnato la storia degli ultimi due secoli».
«Per questo motivo - ha aggiunto Dreazzadore - il compito delle Acli per i prossimi anni non potrà non essere quello di rappresentare i ceti popolari e quella parte del mondo del lavoro che oggi fatica a stare al passo con i cambiamenti, e per questo è meno protetto e resta ai margini della società e della stessa democrazia». Non è un caso - sottolineano le Acli - se il tasso più alto di "antipolitica" (22%, secondo l'ultima ricerca Iref) cioè di passività, lontananza e rifiuto della politica e della partecipazione democratica, si registra proprio nei ceti popolari a basso reddito. «Senza fornire adeguate tutele e rappresentanze a questo pezzo del mondo del lavoro e a questi ceti popolari - ha concluso Dreazzadore - si rischia di creare profonde e insanabili fratture nel tessuto sociale e democratico del nostro Paese».
IMMIGRAZIONE: ACLI, GOVERNO INSENSIBILE ALLE PAROLE DI BAGNASCO
Olivero: «Misure ingiuste e controproducenti, favoriscono clandestinità e insicurezza»
Roma, 23 settembre 2008 - «Stupisce davvero come neppure più la Chiesa sembra venire ascoltata da questo Governo sul tema dell'immigrazione». Il presidente nazionale delle Acli interviene con un giudizio severo sui contenuti dei decreti legislativi approvati questa mattina dal Consiglio dei ministri riguardanti i ricongiungimenti familiari e le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato. «Proprio ieri - commenta Andrea Olivero - il cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale, aveva chiesto "risposte positive" per un'integrazione sociale "equilibrata" a partire dalle domande di ricongiungimento familiare. Il Governo invece - insensibile a questi richiami così come alle tragiche vicende dei giorni scorsi a Milano, piuttosto che a Castelvolturno - risponde con un inasprimento assolutamente ingiustificato dei requisiti per ottenere il ricongiungimento degli immigrati regolari con i propri familiari. E persino per quanto riguarda i rifugiati, si predispone un inasprimento delle misure nei confronti dei richiedenti, quando ancora manca in Italia, unico paese in Europa, una legge che regoli seriamente il diritto d'asilo».
«Il peggio - continua il presidente delle Acli - è che queste misure restrittive non sono solo ingiuste, ma controproducenti. L'inasprimento delle procedure per l'entrata o la permanenza regolare nel nostro Paese non fa altro che aumentare il tasso di immigrazione clandestina, aggiungendo ai nuovi arrivi - che sono tutt'altro che cessati, al contrario di quanto profetizzava in primavera il Governo - le situazioni di ritorno alla clandestinità causate dalla lentezza burocratica. La vicenda del decreto flussi, in questo senso, è un esempio fin troppo lampante».
«Ma soprattutto - conclude Olivero - ostacolare il ricongiungimento familiare significa boicottare lo strumento principale di integrazione sociale degli stranieri in Italia, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano della dignità delle persone, del futuro delle cosiddette seconde generazioni e della stessa sicurezza dei cittadini».
Roma, 23 settembre 2008 - «Stupisce davvero come neppure più la Chiesa sembra venire ascoltata da questo Governo sul tema dell'immigrazione». Il presidente nazionale delle Acli interviene con un giudizio severo sui contenuti dei decreti legislativi approvati questa mattina dal Consiglio dei ministri riguardanti i ricongiungimenti familiari e le procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato. «Proprio ieri - commenta Andrea Olivero - il cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale, aveva chiesto "risposte positive" per un'integrazione sociale "equilibrata" a partire dalle domande di ricongiungimento familiare. Il Governo invece - insensibile a questi richiami così come alle tragiche vicende dei giorni scorsi a Milano, piuttosto che a Castelvolturno - risponde con un inasprimento assolutamente ingiustificato dei requisiti per ottenere il ricongiungimento degli immigrati regolari con i propri familiari. E persino per quanto riguarda i rifugiati, si predispone un inasprimento delle misure nei confronti dei richiedenti, quando ancora manca in Italia, unico paese in Europa, una legge che regoli seriamente il diritto d'asilo».
«Il peggio - continua il presidente delle Acli - è che queste misure restrittive non sono solo ingiuste, ma controproducenti. L'inasprimento delle procedure per l'entrata o la permanenza regolare nel nostro Paese non fa altro che aumentare il tasso di immigrazione clandestina, aggiungendo ai nuovi arrivi - che sono tutt'altro che cessati, al contrario di quanto profetizzava in primavera il Governo - le situazioni di ritorno alla clandestinità causate dalla lentezza burocratica. La vicenda del decreto flussi, in questo senso, è un esempio fin troppo lampante».
«Ma soprattutto - conclude Olivero - ostacolare il ricongiungimento familiare significa boicottare lo strumento principale di integrazione sociale degli stranieri in Italia, con tutte le conseguenze che ciò comporta sul piano della dignità delle persone, del futuro delle cosiddette seconde generazioni e della stessa sicurezza dei cittadini».
venerdì 12 settembre 2008
Indagine Acli: economia e sicurezza
Il clima sociale del paese dall'indagine Acli presentata a Perugia
- ECONOMIA: CONDIZIONE “PEGGIORATA” PER 6 ITALIANI SU DIECI
- SICUREZZA: UN ITALIANO SU 2 NON SI FIDA DELLA “GENTE”
Perugia, 12 settembre 2008 – In tre anni, dal 2005 al 2008, il popolo della quarta settimana è cresciuto del 14%. E' uno dei dati più eloquenti del clima di incertezza sociale ed economica del Paese emersi dall'indagine esplorativa presentata dalle Acli oggi a Perugia, nel corso della seconda giornata del convegno nazionale di studi, dedicata al tema della destra e della sinistra “dopo le ideologie”, tra “nuove paure e nuove povertà”.
Il 45% degli italiani dichiara di aver avuto difficoltà nell’ultimo anno nell’acquisto di beni o servizi di prima necessità (qualche volta, 35%, spesso, 10%). Lo stesso dato, registrato nel 2005 dall'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli, si fermava al 31%. Rispetto a 5 anni fa sentono peggiorata la loro condizione economica il 61% dei cittadini (soprattutto pensionati, operai, artigiani e piccoli esercenti). Solo il 6% del campione (1500 individui rappresentativi della popolazione italiana, intervistati dall’Iref nel mese di luglio) ha risposto indicando un miglioramento. Il futuro incerto e carico di rischi “deprime” 6 italiani su 10, che dicono di ritenere “inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia”. Si sentono appartenenti al ceto medio il 51% degli intervistati, al ceto popolare il 39%, alla classe dirigente il 4%.
IL CETO MEDIO DIVENTA INSICURO
Ma se c’è un ceto medio che può dirsi “sicuro”, secondo la definizione dell’Istituto di ricerca delle Acli (il 33%, 1 italiano su 3) – perché non dichiara problemi nell’acquisto di beni e servizi di base e percepisce come stabile la propria condizione economica – esiste anche un “ceto medio impoverito” che sente fortemente peggiorata la propria condizione (79%), più di quanto non l’avvertano gli stessi appartenenti al ceto popolare (74%)
LAVORO: LA PRIMA PREOCCUPAZIONE DEGLI ITALIANI E’ IL REDDITO
La prima preoccupazione circa il lavoro è legata al reddito. Il fatto di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese è il primo pensiero per il 42% degli intervistati. La precarietà è l’incubo per il 36% degli italiani: il 20% preoccupati di non riuscire ad ottenere un impiego continuativo e sicuro, il 16% con la paura di perdere il lavoro
SICUREZZA: UN ITALIANO SU 2 NON SI FIDA DELLA “GENTE”
Con l’incertezza economica e sociale cresce il clima di sfiducia e di insicurezza anche nelle relazioni quotidiane e personali. Sul lavoro la fiducia nei colleghi sopravanza la diffidenza di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%, mentre il 20,2% degli intervistati è indeciso). Ci si fida (molto o abbastanza) dei parenti (85%), dei vicini (74%), ma per il resto si vive sul chi va là, se a stento 1 italiano 2 (50,5%) due dichiara di nutrire fiducia nei confronti della “gente” in generale. Nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere il grado di fiducia, com’era prevedibile, è ancora più basso (36%).
CRIMINALITA’: AGGRESSIONI E FURTI IN CASA LE PAURE PIU’ SENTITE
Il livello di preoccupazione circa i rischi connessi alla criminalità è alto. Gli italiani temono di subire furti in casa (molto + abbastanza, 62%), di essere aggrediti da un malvivente sconosciuto (62%), di rimanere vittima di scippi e borseggi (61%). Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la soglia del 60% (55). Solo il 3% degli intervistati, tuttavia, mostra fiducia nella difesa autorganizzata dei cittadini, come ad esempio le ronde. Gli italiani chiedono senz’altro pene più severe contro la criminalità e il pugno di ferro delle forze dell’ordine (46%), ma si dicono anche consapevoli (44%) che è necessario anche agire sulle cause e spingono le persone a delinquere.
- ECONOMIA: CONDIZIONE “PEGGIORATA” PER 6 ITALIANI SU DIECI
- SICUREZZA: UN ITALIANO SU 2 NON SI FIDA DELLA “GENTE”
Perugia, 12 settembre 2008 – In tre anni, dal 2005 al 2008, il popolo della quarta settimana è cresciuto del 14%. E' uno dei dati più eloquenti del clima di incertezza sociale ed economica del Paese emersi dall'indagine esplorativa presentata dalle Acli oggi a Perugia, nel corso della seconda giornata del convegno nazionale di studi, dedicata al tema della destra e della sinistra “dopo le ideologie”, tra “nuove paure e nuove povertà”.
Il 45% degli italiani dichiara di aver avuto difficoltà nell’ultimo anno nell’acquisto di beni o servizi di prima necessità (qualche volta, 35%, spesso, 10%). Lo stesso dato, registrato nel 2005 dall'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli, si fermava al 31%. Rispetto a 5 anni fa sentono peggiorata la loro condizione economica il 61% dei cittadini (soprattutto pensionati, operai, artigiani e piccoli esercenti). Solo il 6% del campione (1500 individui rappresentativi della popolazione italiana, intervistati dall’Iref nel mese di luglio) ha risposto indicando un miglioramento. Il futuro incerto e carico di rischi “deprime” 6 italiani su 10, che dicono di ritenere “inutile fare progetti impegnativi per sé e per la propria famiglia”. Si sentono appartenenti al ceto medio il 51% degli intervistati, al ceto popolare il 39%, alla classe dirigente il 4%.
IL CETO MEDIO DIVENTA INSICURO
Ma se c’è un ceto medio che può dirsi “sicuro”, secondo la definizione dell’Istituto di ricerca delle Acli (il 33%, 1 italiano su 3) – perché non dichiara problemi nell’acquisto di beni e servizi di base e percepisce come stabile la propria condizione economica – esiste anche un “ceto medio impoverito” che sente fortemente peggiorata la propria condizione (79%), più di quanto non l’avvertano gli stessi appartenenti al ceto popolare (74%)
LAVORO: LA PRIMA PREOCCUPAZIONE DEGLI ITALIANI E’ IL REDDITO
La prima preoccupazione circa il lavoro è legata al reddito. Il fatto di non riuscire a guadagnare abbastanza per arrivare alla fine del mese è il primo pensiero per il 42% degli intervistati. La precarietà è l’incubo per il 36% degli italiani: il 20% preoccupati di non riuscire ad ottenere un impiego continuativo e sicuro, il 16% con la paura di perdere il lavoro
SICUREZZA: UN ITALIANO SU 2 NON SI FIDA DELLA “GENTE”
Con l’incertezza economica e sociale cresce il clima di sfiducia e di insicurezza anche nelle relazioni quotidiane e personali. Sul lavoro la fiducia nei colleghi sopravanza la diffidenza di pochi decimi di punto (40,2% contro 39,6%, mentre il 20,2% degli intervistati è indeciso). Ci si fida (molto o abbastanza) dei parenti (85%), dei vicini (74%), ma per il resto si vive sul chi va là, se a stento 1 italiano 2 (50,5%) due dichiara di nutrire fiducia nei confronti della “gente” in generale. Nei confronti degli immigrati che vivono nel proprio quartiere il grado di fiducia, com’era prevedibile, è ancora più basso (36%).
CRIMINALITA’: AGGRESSIONI E FURTI IN CASA LE PAURE PIU’ SENTITE
Il livello di preoccupazione circa i rischi connessi alla criminalità è alto. Gli italiani temono di subire furti in casa (molto + abbastanza, 62%), di essere aggrediti da un malvivente sconosciuto (62%), di rimanere vittima di scippi e borseggi (61%). Solo nel caso delle truffe il valore dei molto/abbastanza preoccupati scende sotto la soglia del 60% (55). Solo il 3% degli intervistati, tuttavia, mostra fiducia nella difesa autorganizzata dei cittadini, come ad esempio le ronde. Gli italiani chiedono senz’altro pene più severe contro la criminalità e il pugno di ferro delle forze dell’ordine (46%), ma si dicono anche consapevoli (44%) che è necessario anche agire sulle cause e spingono le persone a delinquere.
Indagine Acli: il partito post-ideologico
POLITICA: ACLI, IL “PARTITO” POST-IDEOLOGICO AL 46%
Le aree socio-politiche disegnate dall'istituto di ricerca delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani: la destra, la sinistra e l'antipolitica
Perugia, 12 settembre 2008 – Per loro, in politica, le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla: contano solo i risultati ottenuti dai governi. Lavoro, uguaglianza, sicurezza, identità: le parole della politica non sono né di destra né di sinistra. Alle ultime elezioni hanno votato prevalentemente per il centro-destra, ma potrebbero votare indistintamente un uomo di sinistra, se fosse capace di risolvere i problemi del Paese, e se fosse onesto. Pragmatici, non rinunciano però al momento del voto ad affermare le proprie convinzioni personali, i valori in cui credono.
Sono gli elettori del “partito” post-ideologico secondo le Acli, che hanno presentato questa mattina a Perugia, nella seconda giornata del loro convegno di studi, i risultati di un'indagine esplorativa realizzata dall'Iref su “La destra e la sinistra nel tempo dell'antipolitica”. L'istituto di ricerca delle Acli ha sondato un campione rappresentativo di 1500 individui per coglierne sentimenti, atteggiamenti e comportamenti nei confronti della società, della politica e delle tradizionali categorie di destra e di sinistra. Provando a disegnare un quadro dello spazio politico italiano diviso in quattro grandi aree in base alle opinioni, gli orientamenti politici e le condizioni sociali degli intervistati. Il gruppo più consistente è quello definito “post-ideologico”, che comprende la maggioranza relativa degli intervistati – 46% – e mostra appunto una visione della politica che si colloca al di fuori dello schema destra-sinistra, eppure ugualmente distante dagli atteggianti di antipolitica che caratterizzano un'altra porzione abbondante del campione (22%). Per gli italiani post-ideologici – tutt’altro che disinformati sulle questioni politiche (il 70% segue il dibattito pubblico, con uno scarto di +10% rispetto al campione) – le soluzioni per i problemi dell'Italia potrebbe trovarsi più facilmente nel dialogo tra maggioranza e opposizione. E' in questo gruppo che si colloca la maggioranza dei cattolici praticanti (53%).
Ma le culture politiche tradizionali non sono del tutto scomparse dallo spazio politico italiano. Un terzo dei cittadini (32%) si radica infatti in due aree molto schierate dal punto di vista ideologico, manifestando orientamenti di destra (17%) e di sinistra (15%) antitetici. Lo zoccolo duro della sinistra italiana è formato da persone che hanno votato in maggioranza il PD, assecondando in qualche modo la sfida veltroniana della vocazione maggioritaria, ma sostenendo anche con una dote cospicua di voti la sinistra Arcobaleno. Le convinzioni ideologiche contano eccome per questi “elettori”, che ritengono l'aggancio ai valori un elemento determinante ai fini delle proprie determinazioni politiche (+9% rispetto al campione). A differenza dell'area post-ideologica, però, la dimensione etica rimane saldamente nell'alveo di una grande narrazione collettiva. Le parole d'ordine della politica continuano a funzionare: uguaglianza, solidarietà, pace, lavoro e partecipazione sono invariabilmente di sinistra, come del resto tutto il lessico politico, appannaggio completo della propria “parte”. Il sentimento prevalente di questi cittadini “schierati” è in questo momento la rabbia (+22% rispetto al campione) nei confronti della politica. Le ultime elezioni sono state una vera iattura (+50% rispetto al dato medio). Ma tutto ciò non fa venir meno le attitudini all'impegno politico e alla partecipazione che più di ogni altre caratterizzano questo raggruppamento della popolazione italiana. Dall'altra sponda, a destra, uguale passione e coinvolgimento rispetto alle questioni politiche, ma con uno spirito comprensibilmente opposto visto il felice esito elettorale: speranza e fiducia sono infatti i sentimenti prevalenti in questi cittadini che si dichiarano orgogliosamente di destra, hanno votato in massa il PDL e hanno la sicurezza al primo posto tra le parole e i valori rappresentativi della loro parte. Non stupisce da questo punto di vista l’atteggiamento di particolare chiusura negli confronti degli stranieri visti come una minaccia per l’ordine pubblico (+9% rispetto la campione) o comunque una fonte di disturbo (+10%).
Rimane l’area della cosiddetta “antipolitica”, che occupa attualmente secondo la ricerca delle Acli il 22% dello spazio politico. Sono cittadini che rispetto alle tradizionali categorie di destra, di centro e di sinistra, rifiutano assolutamente di definirsi. Non si sentono vicini a nessuna forza politica. In maggioranza non hanno votato alle ultime elezioni politiche. Non hanno fiducia nelle istituzioni e rispetto ai problemi del paese pensano che sia “tutto inutile”, perché la casta dei politici non sarà mai in grado di fare qualcosa. Un atteggiamento di totale rifiuto e disaffezione nei confronti della politica, della quale infatti non parlano mai.
Le aree socio-politiche disegnate dall'istituto di ricerca delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani: la destra, la sinistra e l'antipolitica
Perugia, 12 settembre 2008 – Per loro, in politica, le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla: contano solo i risultati ottenuti dai governi. Lavoro, uguaglianza, sicurezza, identità: le parole della politica non sono né di destra né di sinistra. Alle ultime elezioni hanno votato prevalentemente per il centro-destra, ma potrebbero votare indistintamente un uomo di sinistra, se fosse capace di risolvere i problemi del Paese, e se fosse onesto. Pragmatici, non rinunciano però al momento del voto ad affermare le proprie convinzioni personali, i valori in cui credono.
Sono gli elettori del “partito” post-ideologico secondo le Acli, che hanno presentato questa mattina a Perugia, nella seconda giornata del loro convegno di studi, i risultati di un'indagine esplorativa realizzata dall'Iref su “La destra e la sinistra nel tempo dell'antipolitica”. L'istituto di ricerca delle Acli ha sondato un campione rappresentativo di 1500 individui per coglierne sentimenti, atteggiamenti e comportamenti nei confronti della società, della politica e delle tradizionali categorie di destra e di sinistra. Provando a disegnare un quadro dello spazio politico italiano diviso in quattro grandi aree in base alle opinioni, gli orientamenti politici e le condizioni sociali degli intervistati. Il gruppo più consistente è quello definito “post-ideologico”, che comprende la maggioranza relativa degli intervistati – 46% – e mostra appunto una visione della politica che si colloca al di fuori dello schema destra-sinistra, eppure ugualmente distante dagli atteggianti di antipolitica che caratterizzano un'altra porzione abbondante del campione (22%). Per gli italiani post-ideologici – tutt’altro che disinformati sulle questioni politiche (il 70% segue il dibattito pubblico, con uno scarto di +10% rispetto al campione) – le soluzioni per i problemi dell'Italia potrebbe trovarsi più facilmente nel dialogo tra maggioranza e opposizione. E' in questo gruppo che si colloca la maggioranza dei cattolici praticanti (53%).
Ma le culture politiche tradizionali non sono del tutto scomparse dallo spazio politico italiano. Un terzo dei cittadini (32%) si radica infatti in due aree molto schierate dal punto di vista ideologico, manifestando orientamenti di destra (17%) e di sinistra (15%) antitetici. Lo zoccolo duro della sinistra italiana è formato da persone che hanno votato in maggioranza il PD, assecondando in qualche modo la sfida veltroniana della vocazione maggioritaria, ma sostenendo anche con una dote cospicua di voti la sinistra Arcobaleno. Le convinzioni ideologiche contano eccome per questi “elettori”, che ritengono l'aggancio ai valori un elemento determinante ai fini delle proprie determinazioni politiche (+9% rispetto al campione). A differenza dell'area post-ideologica, però, la dimensione etica rimane saldamente nell'alveo di una grande narrazione collettiva. Le parole d'ordine della politica continuano a funzionare: uguaglianza, solidarietà, pace, lavoro e partecipazione sono invariabilmente di sinistra, come del resto tutto il lessico politico, appannaggio completo della propria “parte”. Il sentimento prevalente di questi cittadini “schierati” è in questo momento la rabbia (+22% rispetto al campione) nei confronti della politica. Le ultime elezioni sono state una vera iattura (+50% rispetto al dato medio). Ma tutto ciò non fa venir meno le attitudini all'impegno politico e alla partecipazione che più di ogni altre caratterizzano questo raggruppamento della popolazione italiana. Dall'altra sponda, a destra, uguale passione e coinvolgimento rispetto alle questioni politiche, ma con uno spirito comprensibilmente opposto visto il felice esito elettorale: speranza e fiducia sono infatti i sentimenti prevalenti in questi cittadini che si dichiarano orgogliosamente di destra, hanno votato in massa il PDL e hanno la sicurezza al primo posto tra le parole e i valori rappresentativi della loro parte. Non stupisce da questo punto di vista l’atteggiamento di particolare chiusura negli confronti degli stranieri visti come una minaccia per l’ordine pubblico (+9% rispetto la campione) o comunque una fonte di disturbo (+10%).
Rimane l’area della cosiddetta “antipolitica”, che occupa attualmente secondo la ricerca delle Acli il 22% dello spazio politico. Sono cittadini che rispetto alle tradizionali categorie di destra, di centro e di sinistra, rifiutano assolutamente di definirsi. Non si sentono vicini a nessuna forza politica. In maggioranza non hanno votato alle ultime elezioni politiche. Non hanno fiducia nelle istituzioni e rispetto ai problemi del paese pensano che sia “tutto inutile”, perché la casta dei politici non sarà mai in grado di fare qualcosa. Un atteggiamento di totale rifiuto e disaffezione nei confronti della politica, della quale infatti non parlano mai.
Sintesi convegno Acli a Perugia
DESTRA E SINISTRA: PER 1 ITALIANO SU 2 "NON CONTANO ORMAI NULLA"
“Contano solo i risultati”. Le parole della politica perdono il legame con le origini: il federalismo? È di destra; l’uguaglianza resiste a sinistra. I sentimenti nei confronti della politica: rabbia, sconforto, disgusto, ma anche speranza. Il voto secondo i valori: al primo posto la famiglia
Perugia, 11 settembre 2008 – Arrabbiati, sconfortati, ma non senza speranza. A pochi mesi dal voto che ha sconvolto gli assetti politici tradizionali – con la scomparsa dal parlamento di sigle e partiti storici e l’insediamento di un governo “forte” – le Acli sondano i sentimenti degli italiani nei confronti della politica con un’indagine di cui anticipano oggi alcuni risultati.
L’occasione è l’apertura del tradizionale appuntamento nazionale di studi dell’Associazione – a Perugia, da oggi fino al 13 settembre – dedicato alla crisi dei contenitori tradizionali della politica e al futuro della democrazia. “Destra e sinistra dopo le ideologie. Democrazia rappresentativa e democrazia d’opinione” è il titolo del Convegno giunto alla sua 41° edizione. L’indagine esplorativa – i cui risultati complessivi verranno presentati domani – è stata realizzata nel mese di luglio dall’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, su un campione di 1500 individui rappresentativi della popolazione italiana per sesso, età e ripartizione geografica.
I SENTIMENTI: RABBIA, SCONFORTO, MA ANCHE SPERANZA
Al primo posto negli umori degli italiani c’è la rabbia nei confronti della “casta” (32%). Nel tempo dell’antipolitica prevalgono i sentimenti negativi, lo sconforto (29%) e persino il disgusto (25%). Ma il quadro non è del tutto nero. E’ alta la percentuale di chi nutre ancora speranza nei confronti della politica (30%). Una speranza non accompagnata da altrettanta fiducia (15%), ma che è il segno comunque di un’aspettativa alta nei confronti di chi oggi governa il Paese. Pochi gli “appassionati” (5%) e pochi anche i nostalgici (6%). Più diffuse l’indifferenza (14%) e la noia (12%). Per un italiano su 4 è “tutto inutile”: la casta dei politici non risolverà mai i problemi dell’Italia.
6 SU 10 SI TENGONO INFORMATI, MA IL 56% NON UTILIZZA MAI IL WEB
Passando dai sentimenti ai comportamenti, il 18% degli intervistati dichiara di non interessarsi di politica, perché crede che siano i politici di professione a doversene occupare. Il 16% esprime un rifiuto netto, mentre 6 italiani su 10 dichiarano di tenersi comunque informati sulle vicende politiche. L’83% segue quotidianamente i telegiornali, il 35% legge i quotidiani tutti i giorni o quasi (esclusi quelli sportivi). Il 56% dichiara di non utilizzare mai Internet come strumento di informazione.
DI POLITICA SI PARLA IN FAMIGLIA (38%)
Chi “parla” di politica lo fa soprattutto in famiglia (38%) oppure al lavoro (15%). E se solo il 5% si sente “politicamente impegnato”, il 22% dichiara di aver fatto discussioni con amici, parenti e conoscenti nell’ultimo anno per convincerli a votare un candidato. Le altre forme di partecipazione più praticate sono la segnalazione alle autorità competenti di questioni e problemi riguardanti il proprio quartiere o la propria città (14%), oppure la firma di petizioni per questioni sociali o politiche e l’adesione ad una proposta di referendum (13%).
IL FEDERALISMO? E’ DI DESTRA
Le parole tradizionali della politica – lavoro, libertà, pace… – perdono la loro connotazione originaria. Non sono cioè – per la maggior parte degli italiani – “né di destra né di sinistra”. I consueti vocabolari e armamentari retorici appaiono sempre più insufficienti. La parola più marcata ideologicamente è “federalismo”, che è “di destra” per il 55% degli italiani. A destra anche la sicurezza (40%) e l’identità (32%) – con uno scarto ampio rispetto alla sinistra (+29 e +14) – la famiglia (31%) e la legalità (29%). Dall’altra parte, uguaglianza (38%), solidarietà (33%) e partecipazione (31%) rimangono le parole che caratterizzano di più la sinistra. La semplificazione del quadro politico seguita alle ultime elezioni è stata “salutare” per il 40% degli intervistati, mentre per il 30% si è trattato di un impoverimento del pluralismo politico.
CONTANO SOLO I RISULTATI: 56%
La pregiudiziale ideologica non funziona più al momento del voto. Solo il 17% degli intervistati non voterebbe mai un politico perché “di destra”, il 15% direbbe no se fosse “di sinistra”. 6 italiani su 10 voterebbero indistintamente a destra o sinistra se il politico fosse “capace di risolvere i problemi del Paese” e “onesto”. Gli stessi contenitori politici tengono sempre meno: il 32% degli intervistati non si sente rappresentato da nessuna tra le definizioni politiche vigenti (sinistra, centro, destra, centro-sinistra, centro-destra). Le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla per più di un italiano su due (56%), perché contano solamente i risultati ottenuti dai governi.
IL VOTO SECONDO I VALORI: LA FAMIGLIA AL PRIMO POSTO (81%)
Eppure non è solo al pragmatismo che guardano gli italiani. Tra il post-ideologico e l'antipolitica, la partita dei valori rimane aperta al momento del voto. Gli italiani infatti dichiarano di scegliere in base alle proprie convinzioni personali – "i valori in cui credo" – per il 38%. Il 30% valuta il programma politico più efficace e concreto, mentre solo il 10% dichiara di subire il fascino dei leader carismatici e comunicativi. E quali sono questi valori in cui credono gli italiani? Al primo posto, indiscutibilmente, la famiglia (81%), quindi il lavoro sicuro (33%), l’amicizia (15%), la fede religiosa (15%), l’autonomia e la libertà individuale (11%).
NAPOLITANO: ACLI, "IDEOLOGIE SUPERATE, DEMOCRAZIA RESTA VALORE IRRINUNCIABILE"
“Contano solo i risultati”. Le parole della politica perdono il legame con le origini: il federalismo? È di destra; l’uguaglianza resiste a sinistra. I sentimenti nei confronti della politica: rabbia, sconforto, disgusto, ma anche speranza. Il voto secondo i valori: al primo posto la famiglia
Perugia, 11 settembre 2008 – Arrabbiati, sconfortati, ma non senza speranza. A pochi mesi dal voto che ha sconvolto gli assetti politici tradizionali – con la scomparsa dal parlamento di sigle e partiti storici e l’insediamento di un governo “forte” – le Acli sondano i sentimenti degli italiani nei confronti della politica con un’indagine di cui anticipano oggi alcuni risultati.
L’occasione è l’apertura del tradizionale appuntamento nazionale di studi dell’Associazione – a Perugia, da oggi fino al 13 settembre – dedicato alla crisi dei contenitori tradizionali della politica e al futuro della democrazia. “Destra e sinistra dopo le ideologie. Democrazia rappresentativa e democrazia d’opinione” è il titolo del Convegno giunto alla sua 41° edizione. L’indagine esplorativa – i cui risultati complessivi verranno presentati domani – è stata realizzata nel mese di luglio dall’Iref, l’Istituto di ricerca delle Acli, su un campione di 1500 individui rappresentativi della popolazione italiana per sesso, età e ripartizione geografica.
I SENTIMENTI: RABBIA, SCONFORTO, MA ANCHE SPERANZA
Al primo posto negli umori degli italiani c’è la rabbia nei confronti della “casta” (32%). Nel tempo dell’antipolitica prevalgono i sentimenti negativi, lo sconforto (29%) e persino il disgusto (25%). Ma il quadro non è del tutto nero. E’ alta la percentuale di chi nutre ancora speranza nei confronti della politica (30%). Una speranza non accompagnata da altrettanta fiducia (15%), ma che è il segno comunque di un’aspettativa alta nei confronti di chi oggi governa il Paese. Pochi gli “appassionati” (5%) e pochi anche i nostalgici (6%). Più diffuse l’indifferenza (14%) e la noia (12%). Per un italiano su 4 è “tutto inutile”: la casta dei politici non risolverà mai i problemi dell’Italia.
6 SU 10 SI TENGONO INFORMATI, MA IL 56% NON UTILIZZA MAI IL WEB
Passando dai sentimenti ai comportamenti, il 18% degli intervistati dichiara di non interessarsi di politica, perché crede che siano i politici di professione a doversene occupare. Il 16% esprime un rifiuto netto, mentre 6 italiani su 10 dichiarano di tenersi comunque informati sulle vicende politiche. L’83% segue quotidianamente i telegiornali, il 35% legge i quotidiani tutti i giorni o quasi (esclusi quelli sportivi). Il 56% dichiara di non utilizzare mai Internet come strumento di informazione.
DI POLITICA SI PARLA IN FAMIGLIA (38%)
Chi “parla” di politica lo fa soprattutto in famiglia (38%) oppure al lavoro (15%). E se solo il 5% si sente “politicamente impegnato”, il 22% dichiara di aver fatto discussioni con amici, parenti e conoscenti nell’ultimo anno per convincerli a votare un candidato. Le altre forme di partecipazione più praticate sono la segnalazione alle autorità competenti di questioni e problemi riguardanti il proprio quartiere o la propria città (14%), oppure la firma di petizioni per questioni sociali o politiche e l’adesione ad una proposta di referendum (13%).
IL FEDERALISMO? E’ DI DESTRA
Le parole tradizionali della politica – lavoro, libertà, pace… – perdono la loro connotazione originaria. Non sono cioè – per la maggior parte degli italiani – “né di destra né di sinistra”. I consueti vocabolari e armamentari retorici appaiono sempre più insufficienti. La parola più marcata ideologicamente è “federalismo”, che è “di destra” per il 55% degli italiani. A destra anche la sicurezza (40%) e l’identità (32%) – con uno scarto ampio rispetto alla sinistra (+29 e +14) – la famiglia (31%) e la legalità (29%). Dall’altra parte, uguaglianza (38%), solidarietà (33%) e partecipazione (31%) rimangono le parole che caratterizzano di più la sinistra. La semplificazione del quadro politico seguita alle ultime elezioni è stata “salutare” per il 40% degli intervistati, mentre per il 30% si è trattato di un impoverimento del pluralismo politico.
CONTANO SOLO I RISULTATI: 56%
La pregiudiziale ideologica non funziona più al momento del voto. Solo il 17% degli intervistati non voterebbe mai un politico perché “di destra”, il 15% direbbe no se fosse “di sinistra”. 6 italiani su 10 voterebbero indistintamente a destra o sinistra se il politico fosse “capace di risolvere i problemi del Paese” e “onesto”. Gli stessi contenitori politici tengono sempre meno: il 32% degli intervistati non si sente rappresentato da nessuna tra le definizioni politiche vigenti (sinistra, centro, destra, centro-sinistra, centro-destra). Le convinzioni ideologiche non contano ormai nulla per più di un italiano su due (56%), perché contano solamente i risultati ottenuti dai governi.
IL VOTO SECONDO I VALORI: LA FAMIGLIA AL PRIMO POSTO (81%)
Eppure non è solo al pragmatismo che guardano gli italiani. Tra il post-ideologico e l'antipolitica, la partita dei valori rimane aperta al momento del voto. Gli italiani infatti dichiarano di scegliere in base alle proprie convinzioni personali – "i valori in cui credo" – per il 38%. Il 30% valuta il programma politico più efficace e concreto, mentre solo il 10% dichiara di subire il fascino dei leader carismatici e comunicativi. E quali sono questi valori in cui credono gli italiani? Al primo posto, indiscutibilmente, la famiglia (81%), quindi il lavoro sicuro (33%), l’amicizia (15%), la fede religiosa (15%), l’autonomia e la libertà individuale (11%).
NAPOLITANO: ACLI, "IDEOLOGIE SUPERATE, DEMOCRAZIA RESTA VALORE IRRINUNCIABILE"
«Le ideologie sono superate, ma la democrazia rimane un valore irrinunciabile». Il presidente delle Acli Andrea Olivero interviene a commento delle parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano pronunciate ad Helsinki, in Finlandia, sulla "piena identificazione che ci dovrebbe essere da parte di tutti nei principi e nei valori della Costituzione"Il presidente delle Acli, che proprio domani inaugureranno a Perugia una 3 giorni di studi dedicata alla "Destra e sinistra dopo le ideologie", prende spunto dalle polemiche di questi giorni per le celebrazioni del 65° anniversario dell'8 settembre: «Il superamento delle ideologie e delle retoriche di destra e di sinistra è un processo non solo auspicabile ma inevitabile. Ma se l'approccio ideologico è insufficiente, non significa che tutto è uguale e tutto è indifferente. Rimane sempre da difendere e coltivare una democrazia dei valori condivisi sui quali è costruita la nostra Costituzione».
lunedì 1 settembre 2008
Politica al tempo dell'antipolitica
A Perugia dall'11 al 13 settembre il 41° Incontro nazionale di studi delle Acli
"DESTRA E SINISTRA DOPO LE IDEOLOGIE"
Apre il ministro dell'Economia Giulio Tremonti
A meno di 6 mesi dalle ultime elezioni, caratterizzate dalla radicale semplificazione del quadro politico italiano e dalla scomparsa dal Parlamento di alcuni partiti storici, le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani si interrogano sul futuro della politica e della democrazia. "Destra e sinistra dopo le ideologie" è infatti il titolo del 41° Incontro nazionale di Studi delle Acli che si svolgerà quest'anno a Perugia dall'11 al 13 settembre.Cosa vogliono dire ancora destra e sinistra dopo il tramonto delle ideologie e alla luce anche delle recenti vicende elettorali? Hanno ancora un senso, usciti dal Novecento, queste parole e queste tradizioni? Quali nuove prospettive di significato possono offrire? Se lo domandano le Acli partendo dalla percezione diffusa che antichi equilibri siano diventati instabili, che sia aumentata l'onda di oscillazione e la fluidità tra i cittadini-elettori, e che pertanto le tradizionali categorie del pensiero politico abbiano bisogno di una verifica pubblica e di una ridefinizione non faziosa e non autoreferenziale. In quest'ottica l'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli ha predisposto un'indagine esplorativa su "Politica al tempo dell'antipolitca" che verrà presentata al Convegno.La prima giornata del convegno di studi - giovedì 11 settembre - ospiterà l'intervento ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, che prendendo spunto dal suo ultimo libro, ragionerà di "paura e speranza dopo le ideologie".
Insieme con il ministro, gli storici Andrea Riccardi e Marco Revelli - autore di un recente volume "Sinistra Destra, l'identità smarrita" . Previsti ancora il sottosegretario al Lavoro, la Salute e le Politiche sociali Eugenia Roccella, su vita, famiglia e ideologia; quindi mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare di Milano.
Ma sono davvero finite le ideologie? E' questo il quesito che aprirà la seconda giornata di studi - venerdì 12 settembre - con gli interventi di
Mario Capanna, Marcello Veneziani, Salvatore Natoli, Pier Paolo Baretta. E poi ancora ancora: "Democrazia e globalizzazione tra nuove povertà, nuove paure e nuove opportunità". Con gli interventi, tra gli altri, di Enrico Letta, Stefano Zamagni, Lugino Bruni, Maurizio Ambrosini e Sandro Calvani.Infine la giornata di sabato 13 settembre, dedicata al rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia d'opinione.
*Nella foto il Presidente delle Acli, Andrea Olivero
"DESTRA E SINISTRA DOPO LE IDEOLOGIE"
Apre il ministro dell'Economia Giulio Tremonti
A meno di 6 mesi dalle ultime elezioni, caratterizzate dalla radicale semplificazione del quadro politico italiano e dalla scomparsa dal Parlamento di alcuni partiti storici, le Associazioni cristiane dei lavoratori italiani si interrogano sul futuro della politica e della democrazia. "Destra e sinistra dopo le ideologie" è infatti il titolo del 41° Incontro nazionale di Studi delle Acli che si svolgerà quest'anno a Perugia dall'11 al 13 settembre.Cosa vogliono dire ancora destra e sinistra dopo il tramonto delle ideologie e alla luce anche delle recenti vicende elettorali? Hanno ancora un senso, usciti dal Novecento, queste parole e queste tradizioni? Quali nuove prospettive di significato possono offrire? Se lo domandano le Acli partendo dalla percezione diffusa che antichi equilibri siano diventati instabili, che sia aumentata l'onda di oscillazione e la fluidità tra i cittadini-elettori, e che pertanto le tradizionali categorie del pensiero politico abbiano bisogno di una verifica pubblica e di una ridefinizione non faziosa e non autoreferenziale. In quest'ottica l'Iref, l'istituto di ricerca delle Acli ha predisposto un'indagine esplorativa su "Politica al tempo dell'antipolitca" che verrà presentata al Convegno.La prima giornata del convegno di studi - giovedì 11 settembre - ospiterà l'intervento ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, che prendendo spunto dal suo ultimo libro, ragionerà di "paura e speranza dopo le ideologie".
Insieme con il ministro, gli storici Andrea Riccardi e Marco Revelli - autore di un recente volume "Sinistra Destra, l'identità smarrita" . Previsti ancora il sottosegretario al Lavoro, la Salute e le Politiche sociali Eugenia Roccella, su vita, famiglia e ideologia; quindi mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo ausiliare di Milano.
Ma sono davvero finite le ideologie? E' questo il quesito che aprirà la seconda giornata di studi - venerdì 12 settembre - con gli interventi di
Mario Capanna, Marcello Veneziani, Salvatore Natoli, Pier Paolo Baretta. E poi ancora ancora: "Democrazia e globalizzazione tra nuove povertà, nuove paure e nuove opportunità". Con gli interventi, tra gli altri, di Enrico Letta, Stefano Zamagni, Lugino Bruni, Maurizio Ambrosini e Sandro Calvani.Infine la giornata di sabato 13 settembre, dedicata al rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia d'opinione.
*Nella foto il Presidente delle Acli, Andrea Olivero
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