«A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà». Parole scritte la sera del 18 gennaio 1919 e rese pubbliche il giorno dopo. Novant’anni fa. Una indisposizione aveva obbligato don Luigi Sturzo a non muoversi dall’albergo di santa Chiara a brevissima distanza da Montecitorio. Quindi, in una stanza dell’albergo, anziché nella sede ufficiale di via dell’Umiltà 36, dove si riuniva la 'piccola costituente' incaricata di dar vita alla nuova formazione politica, il Partito Popolare, nasceva l’appello. Questo poneva fine alla lunga traversata dei cattolici italiani: dall’opposizione intransigente allo Stato liberale nato dal Risorgimento alla accettazione piena della democrazia. Con il Partito Popolare veniva di fatto accantonata la 'questione romana'; era superato il 'non expedit' che fino alla Grande Guerra aveva bloccato una partecipazione organizzata dei cattolici alle elezioni politiche. Nasceva un partito che avrebbe scompaginato regole, norme, tradizioni che fino ad allora, soprattutto nel decennio giolittiano e nel tormentato ed inquieto periodo postbellico, avevano segnato la classe politica del Paese. Per lo storico Federico Chabod era «il più importante evento politico nella storia italiana del XX secolo». Quello che novant’anni fa si presentava sulla scena del Paese era infatti un partito laico, non clericale, anche se aveva le sue radici e la gran parte dei suoi consensi nelle tante realtà del mondo cattolico italiano. La fedeltà all’ispirazione cristiana non alterava l’impegno politico ma rendeva il partito consapevole come avrebbe sottolineato Pietro Scoppola - che «la società è prima dello Stato e che nella società si esprime liberamente l’esperienza religiosa che alimenta lo spirito democratico». Il Partito Popolare era un partito non ideologico, nella realtà civile, economica, sociale del tempo segnato da una ideologizzazione spinta in presenza di un socialismo marxista e rivoluzionario e di un crescente nazionalismo esasperato che si scontravano, anche con la violenza, per arrivare al potere in un Paese carico di tensioni, nel quale erano messi in discussione quei principi di libertà e di giustizia che la crisi evidente dello Stato liberale non riusciva più a garantire per tutti gli italiani. Il Partito Popolare si rivolgeva ai cittadini - e questa era una discontinuità evidente - con un preciso programma articolato in dodici punti ( spaziavano dalla «integrità della famiglia» alla organizzazione della Società delle nazioni) frutto di una riflessione politica che Sturzo aveva avviato già nel 1905 con il discorso di Caltagirone (la città dove era prosindaco) nel quale aveva sottolineato l’esigenza «di un partito autonomo, libero e forte, che si avventuri nelle lotte della vita nazionale». E non è un caso che i due aggettivi si ritrovino nell’appello del 1919. Ma la costituzione del Partito Popolare conglobava e superava tutto il lungo travaglio che sul piano storiografico è stato ampiamente affrontato nelle sue varie tappe, anche quelle contraddittorie, che avevano caratterizzato il movimento cattolico. Dentro la sua realtà c’erano i punti del 'programma di Torino' del 1899, la crescente incisiva presenza nel governo di Comuni e Province, nelle leghe bianche, nelle casse rurali, nelle cooperative, la Democrazia Cristiana di Romolo Murri e la Lega democratica di Eligio Cacciaguerra; i cattolici deputati eletti nel 1904 (il primo parzialissimo strappo al 'non expedit'), il Patto Gentiloni del 1913, cioè l’alleanza tra 'clericali' e liberali che aveva registrato il netto dissenso di Sturzo (nel discorso di Caltagirone aveva invitato i cattolici ad essere «o sinceramente conservatori o sinceramente democratici»). Era stato, quello dei cattolici, un cammino nelle istituzioni che si sarebbe concluso con la Grande Guerra e che avrebbe portato alla nascita del Partito Popolare. Il 17 novembre 1918, Sturzo aveva pronunciato a Milano un organico discorso sui «problemi del dopoguerra» nel quale era contenuta la costituzione di un partito di ispirazione cristiana, diffuso su base nazionale, ma in uno Stato fortemente regionale, quasi al limite del federalismo. Poche settimane dopo, l’appello «ai liberi e forti» avrebbe reso pubblico il programma di un partito nuovo fondato sul personalismo, sul riconoscimento pieno delle autonomie, sui valori della sussidiarietà e della solidarietà, sulla costruzione dell’Europa unita. Parole e temi inusuali e non apprezzati allora e che in parte spiegano la breve vita del Partito Popolare (comprensiva anche di alcune sue valutazioni errate) e che oggi ritroviamo, più o meno condivisi o distorti, nel dibattito politico. La storia del Partito Popolare, legata ad «un prete intrigante», come Mussolini avrebbe definito Sturzo, non è stata inutile. Nella crisi attuale della politica forse ha ancora qualcosa da dire ai cattolici e ai laici. Qui a destra i partecipanti al Congresso del Partito popolare italiano del 1920 a Napoli: in primo piano seduto don Luigi Sturzo, in piedi sulla destra Alcide De Gasperi. Sulla sinistra don Sturzo.
di
Antonio Airò(Fonte: Avvenire 15/01/2009)
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